domenica 3 maggio 2009

L'IMPERO DI MARCHIONNE

Sergio Marchionne continua a tenere il piede sull'acceleratore. Dopo
l'accordo con la Chrysler, eccolo puntare al gigante tedesco Opel.
Domani il manager del Lingotto sarà a Berlino per parlare con il
governo tedesco della questione. Probabilmente sfodererà le stesse
armi diplomatiche che tanto successo hanno avuto con gli americani,
anche se, si sa, i tedeschi sono fatti di un'altra pasta. Il ministro
dell'Economia Guttemberg ha comunque detto che «il governo tedesco
esaminerà molto attentamente il piano della Fiat», in particolare in
relazione al numero di stabilimenti e posti di lavoro che verranno
garantiti in Germania. Come è noto, in corsa per rilevare l’azienda
tedesca, trascinata in crisi dalla casa-madre General Motors, c’è
anche l'austro-canadese Magna. Come questo manager italo-canadese sia
riuscito in pochi mesi a rovesciare le sorte del Lingotto, stretto
nell'angolo da una crisi piuttosto grave, capovolgendo il fronte e
passando dalla difesa all'attacco, sarà materia dei libri di storia
economica. Del resto la vita della Fiat, fin dalla sua fondazione, nel
1899, è quella di una salamandra che ha saputo attraversare numerose
epoche di fuoco: le due guerre mondiali, il dopoguerra, le vicende
degli anni '70 con la guerra del Kippur e la crisi petrolifera, le
tensioni sociali, le spaventose difficoltà finanziarie scoppiate al
tramonto della vita dell'Avvocato e di Umberto, fino alle vicende di
questi mesi.
Marchionne sembra muoversi come un generale sullo scacchiere del
mercato automobilistico. Il suo progetto è in sintesi questo: Fiat
detiene la tecnologia per fare vetture di qualità, possiede il blasone
di ingegneria e design dell'Alfa e Lancia, due leggende
automobilistiche in tutto il mondo, per competere con i marchi di
fascia alta. Ma deve affrontare una guerra che non riguarda più
L'Europa e l'Occidente in senso tradizionale (Usa e Giappone compresi,
che oggi si stanno leccando le ferite), ma i mercati mondiali che
arrivano fino all'Estremo oriente, con la Cina, la Corea e l'India
sempre più determinate a polverizzare la concorrenza europea,
americana e giapponese. Da qui la necessità per il Lingotto di fare
massa critica e conquistare nuovi domini in questo risiko
automobilistico. E arriviamo all'accordo dell'altro ieri. E' come se
Fiat da regno, fosse divenuto un impero automobilistico, con nuove
colonie nelle Americhe e presto anche nel cuore dell'Europa.
Obama, che non vedeva l'ora di risolvere i problemi che affliggevano
una delle tre grandi big dell'industria automobilistica (gli restano
le spaventose crisi di GM e Ford) ha annunciato entusiasta che Fiat
ha già trasferito la nuova tecnologia a Chrysler. L'accordo
rappresenta anche una conferma del know how tecnologico raggiunto
dalla multinazionale torinese, di cui l'Italia può essere giustamente
orgogliosa.
Sarà capace Fiat di fronteggiare il dispendio di energie profuso in
questo mega-accordo e nella campagna strategica di Marchionne,
soprattutto dal punto di vista finanziario? Dai dati che possediamo la
risposta è sì, poiché in questo accordo il Lingotto praticamente non
sborsa nulla in termini di risorse finanziarie. E' un'alleanza
strategica, che permetterà di mettere insieme la tecnologia Fiat, che
è tra le più innovative e avanzate al mondo, le sue piattaforme e i
suoi propulsori per vetture piccole e medie nonchè la sua vasta rete
di distribuzione in America Latina e in Europa con il grande
patrimonio della Chrysler, che ha una forte presenza in Nord America.
Nord America significa un Paese di 200 milioni di automobilisti che
vuole abbandonare le grandi auto care, dispendiose ed inquinanti per
dedicarsi alle vetturette belle, pulite e grintose che gli italiani
sanno progettare. Un cambio di cultura per gli Usa, una grande sfida
per l'Italia. In pratica Chrysler verrà messa in una sorta di
“bancarotta chirurgica” per dirottare i pezzi migliori verso Torino e
realizzare così l'accordo. Al Lingotto viene assegnato il 20 per cento
del capitale, aumentabile al 35 per cento. Dal 1 gennaio del 2013 al
30 giugno del 2016 a Fiat spetterà un opzione di acquisto di un
ulteriore 16%, questa facoltà non potrà essere esercitata fino a che
il debito nei confronti del Tesoro Statunitense non sarà inferiore ai
3 miliardi. In ogni caso la quota di partecipazione di Fiat non potrà
superare il 49% fino a quando l'intero debito verso il Dipartimento
del Tesoro statunitense non sarà rimborsato. la nuova Chrysler sarà
gestita da un CdA di 9 membri: tre nominati da Fiat (di cui uno
indipendente), uno nominato da VEBA, uno dal Governo canadese, quattro
nominati dal Dipartimento del Tesoro statunitense (di cui tre
indipendenti). Per il momento, considerato che i dipendenti delle due
case non perderanno il posto di lavoro, possiamo solo brindare al Made
in Italy.