domenica 10 gennaio 2010

ROSARNO, ITALIA

In Calabria lo Stato è morto, come dice Casini? Forse non è morto ma certamente sta poco bene. La disoccupazione è alle stelle, le sue (poche) industrie stanno in fondo a tutte le classifiche per dati macroeconomici, dalla produzione all‘export. E la sanità? Il conto è questo: 39 ospedali per due milioni di abitanti, 36 dei quali irregolari, molti di questi fatiscenti, scadenti, 52.000 calabresi che ogni anno vanno fuori a farsi curare, un deficit che supera i 2 milioni di euro. La situazione nella sanità calabrese “è molto difficile”, ammette persino il suo governatore Agazio Loiero. L’agricoltura è arretrata. Quanto alla legalità, siamo alla “somalizzazione”. Il territorio è in mano alle famiglie e alle ‘ndrine della ‘ndrangheta, l’organizzazione criminale calabrese che ha offerto il suo biglietto da visita nella strage di Duisburg del 2007. Controlla appalti, attività commerciali, traffici di armi e di droga. Con i casalesi e gli altri clan campani arriva a trattare 600 tonnellate di cocaina all’anno, ma pare che la stima sia per difetto. La morfologia criminosa è diversa dalla mafia, che ha una vera e propria “cupola”. Come recita la relazione del 2008 della commissione parlamentare antimafia, la 'ndrangheta cresce e si espande “alla maniera di al Qaeda, con un’analoga struttura tentacolare priva di una direzione strategica ma caratterizzata da una sorta di intelligenza organica, di una vitalità che è quella delle neoplasie, e munita di una ragione sociale di enorme, temibile affidabilità“. Pur rimandendo compatta, ma senza guida al vertice, si muove come un magma, crea continui attriti che si tramutano in stragi, omicidi (anche di minorenni), conflitti a fuoco, faide di ogni genere. Sulla Salerno-Reggio Calabria nel 2009 ci sono stati 90 attentati ai cantieri. Nella città dei bronzi di Riace una coppia in scooter, con una lady su tacchi a spillo alla guida, si può permettere di fermarsi davanti al palazzo della Procura generale e lasciare una bomba innescata a titolo di avvertimento, come ha fatto nella notte tra il due e il tre gennaio, per poi ripartire indisturbata. Ma pare che sia solo un assaggio perché le cosche posseggono bazooka ed esplosivo C3 e C4 capace di far saltare in aria all’occorrenza l’intero Tribunale di Reggio Calabria con dentro i loro occupanti, giudici, avvocati, cittadini.
E’ in questo contesto da Gomorra calabrese che nasce la guerriglia urbana di Rosarno, il paese di 15 mila abitanti affacciato sulla piana di Gioia Tauro, la grande area popolata da 33 Comuni in gran parte commissariati per infiltrazioni mafiose. Rosarno in particolare ospita più di 5000 immigrati, 23 diverse nazionalità, che secondo il rapporto di Medici senza frontiere ne fanno la terza zona d’Italia ad alta densità  di stranieri in rapporto alla popolazione residente, dopo Napoli e Foggia. Sfruttati in modo disumano. Una sottospecie di schiavi “iloti” (l’ultima categoria dei servi spartani) senza diritti, invisibili, costretti a vivere in tuguri indegni di una civiltà come quella occidentale, a raccogliere arance e olive quindici ore al giorno per venti euro al giorno, di cui 5 o dieci “trattenute” dal caporalato in mano alla ‘ndrangheta. Tra queste bidonville alla periferia del Comune è esplosa una violenza cieca che ci riporta al Sudafrica di tanti anni fa. Da giorni si moltiplicano i raid della gente del posto, quella gente calabrese che ha conosciuto l’immigrazione in tutto il mondo e nel settentrione d’Italia, che era famosa per la sua cultura dell’accoglienza e che ora dà la caccia all’immigrato e grida “bastardi” a chi porta un pasto caldo a quei “neri”, come hanno fatto un gruppo di mamme del paese. La Calabria che campeggia nei manifesti di Gattuso mostrando i suoi panorami mozzafiato, i suoi castelli spagnoli immersi nel mare cristallino come quello di Le Castella, dei ruderi della Magna Grecia di Capo Colonna, della Gerace bizantina simile a una Gerusalemme celeste nella piana che sorge alle pendici dell’Aspromonte. Forse ha ragione Saviano quando dice che “quello che colpisce è che hli immigrati hanno un coraggio contro i loro aguzzini, contro le mafie, che gli italiani hanno perso”. Forse è questa la lezione per i calabresi di Rosarno, ma al momento pare che non sia stata appresa. Anzi.
A Rosarno serve una risposta esemplare dello Stato, per rendere giustizia ai calabresi onesti (che sono la maggioranza), ai tanti successi investigativi nel contrasto di magistrati e forze dell’ordine alle ‘ndrine, ai tanti imprenditori che si ribellano al pizzo. A Rosarno è emergenza nazionale, perché Rosarno sta in Italia e anche se la cancrena è solo in punta allo stivale si diffonderà molto rapidamente nel resto del Paese.