“Chi è intelligente ha capito che abbiamo vinto tutto. Quindi, fatalmente, ci spetta una fetta di banche”. “La gente ci dice di prendere le banche e noi lo faremo”. Umberto Bossi entra nel salotto buono del capitalismo italiano senza farsi annunciare, senza nemmeno pulirsi sullo zerbino le scarpe infangate dal prato di Pontida, con la delicatezza che gli è nota. Ma cosa c’è dietro l’urlo bossiano, simile a quella di un Braveheart padano prima dell’assalto a una fortezza? Va detto che quello del sistema bancario, che Amato definì non a caso “la foresta pietrificata”, è tutt’altro che una fortezza facile da conquistare. Tanto è vero che i suoi castellani, quei banchieri “bianchi” e “neri” (classificati con parole povere a seconda della loro provenienza laica o cattolica) sono lì da oltre quarant’anni e quando escono di scena lo fanno molto raramente, quasi sempre per morte naturale (vedi la tartaruga Enrico Cuccia).
Il mondo delle banche oltretutto è per definizione molto silenzioso, la lingua ufficiale è l’understatement ed è molto più efficace lavorare a trenta metri di profondità. Anche perché annunciare di avere l’orso prima di prenderlo è molto pericoloso nel mondo della finanza italiana perché può far scappare o rinforzare l’orso, come sanno molti politici e capitani di ventura (coraggiosi o meno) che sono rimasti scottati, per non parlare dei vari “furbetti” del quartierino, finiti in galera. Tutto questo, se non lo sa Bossi, lo sa certamente Giulio Tremonti, che di Bossi è l’ispiratore in tema di economia e finanza e il regista di tutta l'operazione. E allora che sta succedendo? Bossi ha probabilmente lasciato un segnale a tutto il mondo bancario, per far capire che il vento è cambiato, inducendoli ad accodarsi al nuovo Signore e spaventando coloro che non vogliono accodarsi. E’ un metodo un po’ rozzo, ma nelle intenzioni del “senatur” efficace, almeno politicamente. Il resto del piano è universalmente noto.
La Lega, dopo l’avventura disastrosa della banchetta messa su in maniera dilettantistica e subito fallita rovinosamente, ha capito che le banche ora è meglio conquistarsele sul territorio, almeno quelle che è possibile conquistare. Come? Con un piano già tentato e fallito nel 2002, quando Tremonti aveva emanato un regolamento per trasferire il 70 per cento dei posti di consigliere delle Fondazioni agli enti locali. “Nelle vecchie Fondazioni, aveva detto il ministro proprio a Famiglia Cristiana, «ci si occupava più di affari, di banche, di assicurazioni, di nomine, che di terzo settore, solidarietà o cultura. Ogni tanto si faceva della carità o del mecenatismo. Ma in modo poco trasparente e poco controllato». Insomma, per Tremonti, si pensava «più alle Generali che al morbo di Alzheimer». Lo scopo (o il pericolo, a seconda dei punti di vista) era quello di ripianare i bilanci pubblici e anche di creare tante piccole Casse del Mezzogiorno settentrionali. Un piano fortemente osteggiato dalle Fondazioni e in primis dal presidente di “madame” Cariplo, la più grande e potente delle Fondazioni, l’avvocato Giuseppe Guzzetti, che attuò una ostinata e pugnace battaglia legale e politico-finanziaria.
Ora il Carroccio, forte di un esercito più ampio e compatto, con due governatori del Nord all’attivo, quello veneto e quello piemontese, torna all’assalto della Fortezza. Il primo bersaglio, oggi come allora, sono le Fondazioni, che faranno da ponte per arrivare agli istituti di credito veri e propri. Le Fondazioni infatti detengono consistenti pacchetti delle banche di riferimento. Buona parte dei consigli di amministrazione delle Fondazioni è in via di scadenza e man mano che decadranno vedranno sedersi ai tavoli dei consigli di amministratori dei signori con il fazzolettino verde al taschino, nominato da quegli enti locali (province,comuni, regioni) conquistati a man bassa dalla Lega.
Da lì, arrivare alle banche, colossi del credito come addirittura Unicredit, il passo non è poi tanto lungo. Questo è il piano, per nulla nascosto e anzi condito della solita iattanza popolaresca. Una testa è già rotolata: ed è quella di Salza, sostituito alla Compagnia San Paolo con l'ex ministro ed economista Domenico Siniscalco, molto stimato da Tremonti. Sarà interessante assistere alle contromosse del sistema al comando. A cominciare dall’uomo cui Bossi, anzi Tremonti, ha mandato il segnale dell'olifante che è risuonato su tutto il campo di Agramante: il banchiere Giovanni Bazoli. E questa è una pagina ancora tutta da scrivere. (1- continua)