lunedì 5 maggio 2008

Tra fede e Lega

La svolta è arrivata il giorno di Pasqua. Giuseppe Leoni, uno dei fondatori della Lega Nord, ha telefonato al suo amico Umberto Bossi nella sua casa di Gemonio, intorno alle 11: «Gli ho fatto gli auguri, poi ho aggiunto: se però non vai alla Messa di precetto, non è vera Pasqua. Umberto ci ha pensato e mi ha risposto: vienimi a prendere che andiamo. E così l’Umberto è entrato in una chiesa, dopo forse 30 anni che non accadeva». Sono le otto e mezza del mattino di domenica 4 maggio. Leoni ricorda l’episodio accanto al suo amico parroco don Pietro Giola, sui gradini della chiesa di Maria Immacolata, una chiesa sussidiaria alle porte di Varese, quasi nascosta tra una villetta e un autolavaggio. «il Bossi», ricorda don Pietro, «me lo sono visto arrivare alla messa vespertina, nella chiesa di San Michele, la chiesa principale della mia parrocchia della frazione di Bosto. Si è seduto con i suoi, discretamente, e ha pregato con gli altri fedeli. Gli ha portato buono, visti i risultati elettorali! L’ho detto anche ai miei parrocchiani: se a Bossi, che è andato a una Messa dopo 30 anni, è successo quel che è successo, a voi che venite in chiesa tutte le settimane, cosa vi capiterà di bello?». Poi aggiunge: «Se la Lega si elevasse un po’ di più verso lo spirituale, come cerca di fare Leoni, che è un cattolico serio, discreto, impegnato nel volontariato, sarebbe un bel colpo». Don Pietro non è schierato per la Lega, né per nessun altro partito, però cerca di capire le ragioni di una valanga di voti che ha influito anche su una parte dei suoi parrocchiani: «I leghisti hanno un linguaggio vicino al popolo. Il linguaggio di un Bertinotti non è capito dalla base. Come prete non mi schiero con nessuno, come cittadino mi ritengo un moderato, orfano della Dc. Avrei potuto votare per l’uno come per l’altro schieramento. Poi, però, Veltroni ha imbarcato sciaguratamente i radicali. E a quel punto non c’erano più dubbi: il voto è stato dettato anche dalla morale cristiana». Il Carroccio ha trionfato alle elezioni mettendo in soffitta il suo strampalato armamentario pagano. Sembra finito il tempo del dio Po, delle ampolline, dei riti celtici e anche quello dell’anticlericalismo in cui si è spesso distinto il suo lider maxino. E a quanto pare i cattolici gli hanno creduto, se è vero che il 39 per cento dei praticanti, stando ai sondaggi, ha votato Lega. Anche molti parroci del Nord sembrano aver sdoganato il Carroccio, al di là della distanza ben segnata dai vescovi italiani, che non si schierano se non per i valori “irrinunciabili” del Vangelo. Sui giornali appaiono i nomi dei presunti parroci leghisti, tirati in ballo anche a sproposito, come don Mario Cardinetti parroco di Cava Manara, nel Pavese, che contattato telefonicamente ci dice di essere stato «strumentalizzato e frainteso. Mi sono attirato anche le ire di alcuni miei parrocchiani». Molti sacerdoti cercano di capire, come don Silvano Ghilardi, già assistente nazionale dell’Azione cattolica e parroco di Zanica, nella Bergamasca. Nella terra di papa Giovanni XXIII sono stati in molti a salire sul Carroccio. «Il fenomeno Lega mi ha colpito fin dalla fine degli anni ’80. L’impatto in parrocchia mi fa incontrare una Lega molto diversa dalle esternazioni dei suoi leader. Tra i miei fedeli ho leghisti praticanti, vicini alla realtà ecclesiale, seri, devoti. Mi colpisce in particolare il loro impegno diretto nella Lega e il sostegno ai missionari del Terzo mondo. Poi, però, è vero che certi manifesti e certi proclami sono inquietanti e intolleranti. Ma nella pratica è diverso». Insomma, una Lega che predica male e razzola bene? «Non saprei, so solo che la critica all’amministrazione statale centralista da noi è molto diffusa, non solo tra i leghisti. L’insicurezza, il centralismo romano, l’inefficienza, il fisco, sono cavalli di battagli leghisti che poi non vengono elaborati con delle soluzioni concrete, non si sono viste grandi proposte». Nella Lega c’è anche una vasta generazione di amministratori locali che proviene dalle file della Dc, o addirittura dal volontariato e dall’associazionismo cattolico. Come Silvana Santisi Saita, sindaco di Seriate, già presidente diocesana dell’Azione cattolica dall’86 al ’92. «Per me, che venivo dall’associazionismo ed ero stata assessore ai servizi sociali, aderire alla Lega ha significato portare avanti il mio impegno nel volontariato cattolico, al servizio della gente», ci dice nel suo ufficio di primo cittadino. Seriate, ci assicura, è un’isola felice della Bergamasca. «Non ho questuanti ai semafori e venditori abusivi. Ho un progetto costante di assistenza dalla culla alla tomba, con progetti per le neomamme e gli anziani». Per la sindachessa di Seriate il problema principale però proviene dai rom e dagli albanesi, l’incubo dell’era della globalizzazione: «La Lega non è intollerante con gli extracomunitari, ma contro chi entra in Italia e pensa che sia il Paese di Bengodi». Il Carroccio, come dice il sociologo Aldo Bonomi, «sta dentro la globalizzazione e i suoi grandi cambiamenti». La pratica e il credo dei cattolici si incrocia con le problematiche del Nord che vuol contare. A tutto questo si aggiunge lo spaesamento e l’inquietudine. «Più affermi la certezza delle tue radici cristiane, meno ti fa paura l’identità degli altri», spiega il sindacod i Seriate. È uno dei temi centrali del libro La paura e la speranza, in testa alle classifiche dei libri più letti da settimane, di Giulio Tremonti, da sempre vicino alla Lega, che si appella con forza alle radici cristiane dell’Europa in funzione antiglobalizzazione e contro il relativismo di cui parla Benedetto XVI. Un esempio concreto di quel che possono creare i flussi immigratori dal punto di vista religioso e culturale ce lo spiega monsignor Ubaldo Nava, parroco di San Sisto, a Colognola, frazione di Bergamo. Nel suo oratorio 250 extracomunitari frequentano le scuole di italiano, tenute da volontari della parrocchia. Nemmeno monsignor Nava, che si dice molto colpito per l’adesione dei giovani al Carroccio («l’intolleranza non la vedo, il fatto della paura e il desiderio di sentirsi un po’ più protetti invece li vedo»), è schierato con questo o quel partito, ma conosce il suo territorio con tutti i suoi problemi inerenti alla globalizzazione. Ci parla del progetto del centro culturale islamico di istituire proprio nella sua frazione un cimitero islamico: «Ma il camposanto è terra di tutti, è un monumento civico. Oggi si benedicono le tombe, non il cimitero. Che bisogno c’è di creare un’enclave musulmana di tombe? È un progetto che va contro l’integrazione». E concorda con lui anche il professor Francesco Benigni, presidente di circoscrizione, del Pdl. Anche Benigni ci spiega la particolare contiguità al cattolicesimo dei leghisti nell’amministrazione, al di là dei proclami intolleranti in stile Calderoli, che tra l’altro è bergamasco e che si è sposato «con rito celtico». «Quando si tratta di approvare contributi alle attività della parrocchia, i no arrivano sempre dalla sinistra radicale o da qualche Pd. Dalla Lega arriva un sostegno convinto». Poi Benigni aggiunge particolari sul cimitero islamico. «Il progetto prevede 474 tombe, quando il cimitero di Milano ne prevede appena 93. Perché un cimitero che divide e non integra?». L’invasione islamica può arrivare anche dal regno di Tanatos.