Viviamo strani giorni, in cui i prezzi quasi si capovolgono e i valori di riferimento cadono. Una volta c’era una scala dei prezzi, più o meno decrescente, che aveva a un estremo i beni di lusso e all’altro capo i beni di consumo, quelli che “primum vivere”. Il viaggio, il tv color, l’elettrodomestico sofisticato, veniva dopo la tavola. Ma la nostra è l’epoca della globalizzazione, dei viaggi low cost, delle tariffe dei telefonini e di Internet sempre più basse, ma anche del pane e della frutta che ormai si acquistano come da Cartier e della benzina che fra un po’ varrà quanto un litro di rosso di Montalcino. I telefonini e i televisori al plasma entrano ancor più facilmente nelle nostre case. Nel nostro Paese, sesto al mondo per diffusione di cellulari, ci sono 122 contratti di telefonia mobile ogni 100 abitanti e un bambino su quattro possiede un telefonino prima dei dieci anni. Merito anche delle tariffe più basse d’Europa. Anche i medicinali, le scarpe e l’abbigliamento “casual” scendono di prezzo. Per volare a Parigi o a Berlino possono bastare 40 euro ma per riempire il carrello al supermercato ce ne vogliono almeno 60. Il lusso e certi beni superflui diventano “cheap, sempre più economici, ma i beni essenziali salgono in una spirale che sembra senza fine. Il filone di pane è uno degli alimenti simbolo di questa inversione di tendenza: rispetto al 2007 è cresciuto del 13,1 per cento, ancor di più la pasta, che è arrivata al 18,6 per cento. La spiga di grano è d’oro, in tutti i sensi, non solo nelle “georgiche”. Anche il latte è aumentato del 10 per cento.
Le origini di questi aumenti generalizzati sono note: la domanda di subcontinenti come Cina e India, le calamità ambientali che hanno “bruciato” i raccolti degli ultimi tempi nei “granai” mondiali che vengono da lontano ma che si fanno sentire vicini, come in Australia on in Cina, l’uso a fini energetici dei cereali che in Sudamerica in particolare sta provocando carestie generalizzate. Una tragedia nei Paesi del Terzo Mondo (secondo le stime si stanno per generare oltre 100 milioni di nuovi poveri), un dramma per tante famiglie italiane. Quelle della sindrome della “quarta settimana”, espressione “gentile” per definire le nuove povertà: “ceto medio” per tre settimane, “nuovi poveri” per una settimana, come se fosse un’indigenza “a tempo”. E’ comunque un dato di fatto, come dichiarano molti panettieri, che molti clienti spariscono nell’ultima parte del mese.
Di fronte a questa impennata dei prezzi degli alimentari gli italiani si adeguano e variano il loro menù. Nel 2007, ci informa la Cia, la Confederazione italiana degli agricoltori, sei famiglie su dieci hanno cambiato le loro abitudini a tavola. Ogni nucleo ha speso in media 460 euro al mese, che significa, stando alla media nazionale, un quarto o un quinto dello stipendio (ma per le categorie con redditi inferiori è davvero dura e si arriva fino alla metà del budget familiare). La spesa è al secondo posto delle spese “grosse” degli italiani, preceduta solo dalla casa. Gli acquisti di pane, pasta, frutta, verdura e vino, gli ingredienti-principe della dieta mediterranea, scendono in picchiata. La spesa alimentare si è gonfiata del 28 per cento all’interno della busta paga. A stringere di più la cinghia sono gli anziani. La percentuale di coloro che hanno ridotto si trova infatti principalmente negli over 55 (con picchi elevati soprattutto negli over 70). Se uniamo queste voci all’impennata dei carburanti, si comprendono le voci che stanno alla base di un’inflazione che negli ultimi mesi ha rialzato la testa, arrivando al 3,3 per cento.
Se salgono i prezzi, scendono i consumi. Gli acquisti domestici del pane hanno registrato un calo del 6,2 per cento, quelli della pasta del 2,6 per cento, la frutta è scesa del 2,5, le verdure del 4,2, il vino del 4,6. Ma calano anche le carni bovine, suine, i formaggi e l’olio di semi. Con buona pace della nostra celeberrima dieta mediterranea, che per tanti, specialmente per gli anziani, è sempre più dieta (forzata) e sempre meno mediterranea.