sabato 24 gennaio 2009
LAMPEDUSA, L'ULTIMA SPIAGGIA DEI CLANDESTINI
Ce l'hanno fatta, sono vivi, anche se sembrano più morti che vivi: disidratati, stremati, lo sguardo opaco e smarrito di chi ancora non crede alla propria salvezza. Sbarcano sul molo davanti a una piccola folla di soccorritori e turisti che trattiene il fiato, in un silenzio interrotto solo dalle sirene dei pescherecci. Si siedono, si accovacciano, si sdraiano esausti sotto il gazebo bianco della Croce rossa per un sorso d'acqua e le prime cure, salgono docili sul pulmino della Misericordia di Palermo che li porterà al Centro di accoglienza per un pasto caldo. Hanno attraversato per giorni un deserto di sabbia e galleggiato per ore e ore in un deserto d'acqua. Non è stato un viaggio, nessuno si imbarca per un viaggio perché ogni imbarco non prevede mai una destinazione, alla fine c'è sempre e solo un naufragio. Il loro è stato baciato dalla buona sorte: un elicottero li ha avvistati e una motovedetta ha lanciato una fune per trainarli fino a qui. Sono giovani eritrei, fuggono dalla miseria e da un servizio di leva che li costringerebbe a imbracciare le armi per decenni. Erano in 28 su una barca rossa e blu in avaria che ora dondola ormeggiata di fianco a una lampara.
L'ultimo atto dell'odissea dei migranti si consuma sul molo Favarolo di Lampedusa, nell'ultimo tratto di porticciolo turistico, proprio davanti alla statua della Madonna di Porto Salvo. Un esodo senza fine: tredicimila arrivi solo dall'inizio dell'estate. Sono le sei di pomeriggio: c'è ancora luce. Siamo nel cuore dell'isola delle Pelagie prossima più all'Africa che all'Italia, porta d'accesso dei migranti in Europa, crocevia di civiltà, inferno e paradiso, linea di confine visibile tra Nord e Sud del mondo. La dolce vita settembrina dei turisti è a pochi metri dal molo: anime, sorrisi, lacrime, desideri e speranze che si incrociano, quasi si sfiorano, ma non si incontrano.
OLTRE UN APPRODO AL GIORNO
Con questo cielo sereno e questa bonaccia di mare il ritmo è di oltre un approdo al giorno. Qualcuno ha calcolato un clandestino ogni tre minuti. Arrivano anche a centinaia: ghanesi, bengalesi, magrebini, tunisini, etiopi, sudanesi, eritrei. Un viaggio, anzi un naufragio, costa dai 1.500 ai 3.000 euro. Sulla linea dell'orizzonte si staglia la sagoma grigia della nave militare Minerva. Le motovedette della GuardiaLo sbarco da una motovedetta della Guardia di finanza di una giovane donna. costiera e della Guardia di finanza sono pronte a salpare a ogni momento, altre navigano già al largo in perlustrazione del Canale di Sicilia. Ad accogliere i disperati dell'esodo, giorno e notte, c'è una squadra di Medici senza frontiere, volontari della Misericordia, carabinieri, agenti e cooperanti di varie organizzazioni. Uomini e donne dal sonno guasto (c'è chi ha sperimentato veglie di tre giorni), provati dalla fatica di una lunga estate di sbarchi a tutte le ore. Tra questi c'è Simona Moscarelli, 31 anni, avvocato dell'Organizzazione internazionale per le Migrazioni, a Lampedusa, nell'ambito del progetto Argo (che coinvolge anche Croce rossa italiana e Acnur, l'Alto commissariato dell'Onu per i rifugiati). Simona fornisce consulenza legale, ascolta, soccorre, cerca di dare risposte alle richieste economiche che spingono i disperati ad abbandonare la propria terra. «Il 70-80 per cento della gente fugge da un destino di miseria e ignoranza. "Perché siete qua?", ho chiesto a una ragazza bengalese: "Per leggere", mi ha risposto. Aveva rischiato la vita perché voleva provare a decifrare un libro, capire un cartello, scrivere una lettera. Un altro mi ha detto: "Ho le sorelle da sposare, la famiglia mi ha dato i soldi per questo viaggio, quando sarò in Europa a lavorare manderò le rimesse a casa". Moltissimi sono orfani, hanno lasciato il nulla dietro di sé. Vorrebbero continuare gli studi, oppure sognano un lavoro da pizzaiolo, muratore o fioraio».
Non sanno di andare incontro a rischi mortali. «Nessuno, proprio nessuno, si immagina un viaggio così duro. Quando partono gli danno da bere e da mangiare per 24 ore, ma il viaggio può durare anche quattro-cinque giorni. Vengono stipati pure in cento e più per barca, non possono muoversi nemmeno per espletare i bisogni fisiologici». I liquidi organici, insieme all'acqua di mare e ai vapori del carburante, creano un miscuglio che brucia sulla pelle: le piaghe ardono sotto il sole sui corpi di questi cristi, per giorni. Eppure dai porti libici continuano a salire gruppi di disperati: giovani, famiglie, bambini, neonati, donne all'ultimo mese di gravidanza. Durante una drammatica operazione di salvataggio, mentre il barcone affondava, due madri hanno lasciato galleggiare due culle di legno con dentro due neonati, piccoli Mosè salvati dalle acque per un soffio.
IL MIRAGGIO DI UNA CROCIERA
Simona mostra alcune foto di donne etiopi che scendono dalle scalette della motovedetta ben vestite, con abiti di foggia europea. «I trafficanti avevano promesso loro una crociera», spiega. Il miraggio della crociera si dissolve quando le donne arrivano nei porti libici e vengono costrette con la forza a salire sulle carrette del mare. La traversata clandestina termina con unLa tomba senza nome di un bimbo morto in un naufragio. salvataggio, un approdo casuale su un'isola, un'avaria del motore, una falla della barca, lo sfondamento della tavola marcia di un vecchio gommone. Il 90 per cento dei migranti vede il mare per la prima volta, non sa nuotare, e questa è la causa di migliaia di morti. La traversata è l'ultima tappa di un calvario iniziato nei Paesi d'origine, fatto di viaggi spossanti nel deserto del Sahara a bordo di jeep o vecchi camion, stipati uno sopra l'altro. Se l'automezzo si rompe, si resta a piedi e spesso non c'è scampo. La regia di un'organizzazione criminale sul traffico dei clandestini che ha il suo epicentro ad Al Zuwara, in Libia, capitale del traffico di esseri umani, è cosa nota, eppure l'Europa non è riuscita finora a mettere in piedi un minimo di organizzazione atta a fermare quello che il ministro degli Interni Amato ha definito un crimine. Davanti al Governo italiano la Libia continua ad alzare la posta per pattugliamenti delle coste libiche più efficaci: chiede in cambio navi, infrastrutture, strade e autostrade. Manca anche un incisivo coordinamento europeo che gestisca, fino ad arrestarli, i flussi migratori dei disperati.
La chiesa di Lampedusa ha le cupole rosse, come quella palermitana di San Giovanni degli eremiti e di altre chiese siciliane, memoria delle contaminazioni arabe. Sull'altare il parroco, padre Leopoldo Argento, tiene aperta una frase di san Paolo: «Chi semina scarsamente, scarsamente raccoglierà, e chi semina con larghezza, con larghezza raccoglierà». Un programma di vita. «Come comunità non possiamo tacere: per noi il prossimo è il clandestino, il fratello che bussa alla porta. La mia gente è abituata a conoscere uomini e storie diversi. Ho cercato di leggere dentro il cuore dei lampedusani, che hanno sempre accolto i migranti, fin dai primi sbarchi, negli anni '80. Temono però che il turismo, che è la loro principale fonte economica, ne risenta. In realtà credo che non influisca più del due, tre per cento. Ma si pensa che parlandone troppo e male sui media i problemi vengano ingigantiti».
È cambiato anche il rapporto col Centro di soccorso e di prima accoglienza, dove transitano i clandestini prima di venir trasferiti nei centri del continente. Le accuse di "lager" hanno attirato sull'isola i no global. Non è certo un hotel a cinque stelle, ma in realtà è dignitoso, anche se è insufficiente ad accogliere le centinaia di migranti che vi giungono. «L'esodo è inarrestabile, continuerà finché non andremo alla radice della questione», conclude padre Leopoldo. Finché non si capirà che è un problema europeo, di aiuto al Sud del mondo, il Sud del mondo continuerà a naufragare sulle coste europee.
SULLA SPIAGGIA DI MODUGNO
La Minerva è scomparsa dall'orizzonte. Segno che si sta dirigendo sul tratto di mare in cui c'è stato l'ennesimo avvistamento. La notte scorsa una bagnarola di nordafricani aveva fatto naufragio sulla Spiaggia dei conigli, l'angolo di paradiso dove sorge la villa che fu di Domenico Modugno. Poche ore dopo, al molo Favarolo, approda una motovedetta della Guardia di finanza col suo carico di clandestini sul ponte. Sbarcano anche tre donne, una è incinta.
Non sappiamo, per ogni migrante che approda su quest'isola, quanti ne muoiano inghiottiti dalle acque, quanti cimiteri nascosti esistano in fondo al Mediterraneo. Ogni tanto il mare restituisce qualche corpo e lo deposita su scogli e spiagge. In un angolo del camposanto di Lampedusa c'è un mucchio di terra e arbusti da cui spiccano sbilenche alcune croci in legno senza nome. Su ciascuna di esse una mano pietosa ha legato col fil di ferro una rosa di plastica. Sono le tombe dei migranti. C'è anche quella di un bambino, su cui è adagiata la statuetta di un Gesù fanciullo offesa dal sole e dalle intemperie. Altre tombe di clandestini sono state rimosse per fare spazio a quelle dei lampedusani. I resti sono al cimitero di Agrigento, in attesa di una sistemazione. Anche da morti continuano a migrare senza pace.
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