domenica 17 maggio 2009

NO, NON E' PROPRIO UN PIRLA


No, non è un pirla. Ha vinto, a 46 anni, cinque titoli in tre Paesi diversi. E' un fenomeno della panchina riconosciuto. Nemmeno Herrera vinse il primo anno lo scudetto con l'Inter. Questo è mister José Mourinho, special one in panchina e soprattutto in conferenza stampa. Le sue frasi ormai hanno fatto il giro del mondo e sono entrati nel linguaggio comune, a cominciare da quel “seru tituli” che ormai è diventato un tormentone estivo ed è diventato una sorta di sistema filosofico: il mondo infatti si divide in chi ha “tituli” e chi invece “seru tituli”: lo si sente dire a scuola, al supermercato, per strada, lo scrivono i giornalisti, lo declinano i tifosi non solo interisti. Privilegio di un portoghese di genio che prima di venire in Italia ne ha imparato in poche settimane la lingua e non si è limitato ad adoperarla meglio di tanti allenatori nostrani, ma addirittura l'ha trasformata in una specie di arma dadaista, forgiando, se non proprio neologismi, modi di dire che ormai fanno parte dell'immaginario collettivo. La lingua per Mourinho è stata il dodicesimo giocatore in campo, il suo tono assertivo, la sicurezza di sé, la sua aggressività sfoderata puntualmente ad ogni minimo indizio di polemica, è diventato un modo per proteggere la squadra, per tenerla al riparo delle polemiche. E infatti si dice che tatticamente Mourinho sia un difensivista in campo e un offensivista in conferenza stampa, dove dà il meglio di sé, a cominciare da quel “non sono un pirla”, con cui ha iniziato la sua avventura a Milano. Più che un allenatore, un attore consumato, capacissimo nel giocare con l'impatto mediatico. In fondo anche un po' donchisciottesco, nel senso che non ha paura di rischiare. Pensate se non avesse vinto lo scudetto all'affetto boomerang di quel “seru tituli”: lui magari se ne sarebbe tornato in Portogallo, ma gli interisi da qui a dieci anni preda degli sfottò di milanisti e juventini: “seru tituli”. Invece è andata bene. Il personaggio che si è costruito in pochi mesi è un personaggio “iperreale” direbbero i sociologi, perché nella realtà, nell'intimità degli affetti probablmente è qualcosa d'altro, ma all'opinione pubblica non importa e infatti i giornali gli hanno dedicato paginate e paginate, Edmondo Berselli è riuscito parlando di lui a tirare in balo il filosofo tedesco Carl Schmitt. Con Ancelotti, Ranieri e Spalletti, tanto per dire tre grandissimi allenatori, cui non è rimasto altro che sorridere alle esternazioni e alle pizzicate del collega portoghese, non era mai successo (e infatti Milan, Roma e Juve “seru tituli”). Per trovare un timido precursore bisogna risalire a Trapattoni e al suo “non dire gatto se non ce l'hai nel sacco”, ma credo che il meglio di sé il grande ct della Nazionale e dell'Irlanda lo abbia dato nel tedesco macheronico esibito ai tempi della sua trasferta germanica. Niente però in confronto a “mister seru tituli”.
“Il mio era solo un modo diverso di comunicare, motivare, entrare nel cuore dei tifosi; non l'ho detto per prendere in giro, perché alla fine io sono per il rispetto”, ha spiegato l'altra sera Mourinho. Lo avevamo capito, ma grazie lo stesso: in fondo ci siamo molto divertiti.