Accogliendo il ricorso di una cittadina italiana di origine finlandese, la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha stabilito che la presenza dei crocifissi nelle aule scolastiche “viola la libertà di religione degli alunni”. La presenza del massimo simbolo della fede cristiana dunque per i sette giudici di Strasburgo sarebbe incompatibile con la laicità dello Stato. La sentenza, per certi aspetti sbalorditiva, ha compiuto il miracolo di mettere d’accordo praticamente tutti i partiti dell’arco costituzionale, di maggioranza e di opposizione (tranne i soliti radicali e la solita sinistra comunista). Tutti uniti nel criticare e rispedire al mittente la decisione della corte. Il Governo, attraverso il ministro dell’Istruzione Gelmini, ha presentato ricorso.
Pur nel rispetto della sentenza va detto che i magistrati di Strasburgo, in nome della laicità degli Stati europei, ci impongono di fare a meno nelle aule scolastiche del simbolo delle nostre radici europee e della nostra civiltà. E’ un po' come se rinunciassimo a noi stessi in nome della libertà di essere noi stessi. Si cancellano per volontà togata quelle radici cristiane senza le quali l’Europa oggi sarebbe una mera espressione geografica, un’appendice asiatica, come diceva il grande storico dell’Europa Federico Chabod. Seguendo il ragionamento sono un’ostacolo alla laicità dello Stato i campanili, le chiese e i monasteri che punteggiano come “un mantello trapuntato” (secondo una bella espressione di San Colombano), il Vecchio Continente, dall’Irlanda agli Urali. Come se il Duomo di Milano o la Cupola del Brunelleschi impedissero la laicità delle rispettive piazze dove sono collocate violando il diritto di credere o di non credere. Come se il simbolo della croce, appeso nelle aule di tribunale a ricordare che c’è una giustizia superiore a quella degli uomini, impedisse ai magistrati di giudicare secondo la legge e secondo la loro coscienza laica. Come se quelle croci piantate sulle cime più impervie, come se le edicole votive, espressione della pietà popolare, come se le cappellette “dove l’animo tornò tante volte sereno, cantando le lodi del Signore”, fossero d’intralcio alle coscienze laiche. Come se le statue del Cristo o di Maria collocate discretamente nelle camerate degli ospedali pubblici, fonte di speranza, di offerta di sofferenze e di conforto per ricoverati, congiunti, medici, infermieri, fossero un’offesa la libertà di culto e costituissero un attentato alla libertà di religione.
Ci sono varie ragioni per accettare quella croce in aula, oltre la fede dei credenti, che in essa vedono il simbolo dell’amore, della pietà, della misericordia divina, di un Dio che si sacrifica per la salvezza dell’umanità. Anche per un laico, che è sinonimo di tolleranza, quella croce rappresenta la memoria incancellabile della storia del proprio paese.
Oltretutto la signora che pur essendo stata respinta più volte dai tribunali amministrativi ha continuato con ostinazione una lunga battaglia giudiziaria per togliere quel crocifisso in nome della libertà di religione dovrebbe guardare alla bandiera del proprio Paese d’origine, la Finlandia: una croce azzurra su campo bianco. Una croce come tutte le bandiere dei Paesi scandinavi, dalla Svezia, alla Danimarca, alla Norvegia, testimonianza delle origini cristiane di questi Paesi che rimangono un modello di tolleranza, di laicità e di democrazia. Eppure nessuno si sogna di voler cancellare quel simbolo dalle bandiere.
Ma forse il peccato originale di questa Unione europea senz’anima che in casi come questi ci appare anni luce lontana dalla volontà popolare è stato quello di non aver inserito nella sua Costituzione il riferimento al passato giudaico-cristiano dell’Europa, rispettando i valori morali della stragrande maggioranza, sacrificandoli invece alla volontà delle minoranze legate alle lobby laiciste e massoniche, che hanno imposto una generica e tutt’alto che neutrale ode alla filosofia illuminista, come se questa non fosse a sua volta un’ideologia.
Come ha sostenuto il cardinale Bertone, “questa Europa del terzo millennio ci lascia solo le zucche delle feste recentemente ripetute e ci toglie i simboli più cari. Questa è veramente una perdita. Dobbiamo cercare con tute le forze di conservare i segni della nostra fede per chi crede e per chi non crede”.