domenica 25 maggio 2008

CONTRO CHI RIBELLARSI


Scontri furiosi, sassaiole contro le forze dell'ordine, bombe carta, roghi, manganellate su donne, anziani e cittadini inermi. L'intifada napoletana di Chiaiano, scoppiata all'indomani delle misure decise nel Consiglio dei ministri che si era insediato nella capitale del Mezzogiorno, suscita un sentimento di sgomento per la sua virulenza imprevista, per quella rabbia cieca che sgorga da famiglie sull'orlo della disperazione, per quella tenaglia repressiva che rischia di degenerare e di deviare dai suoi binari democratici. È successo anche a Pianura, la contrada alle porte della città, e a Serre, nel Salernitano. Da queste parti la disperazione è sempre stata la molla della protesta, fin dai moti di Masaniello, fin dalle giornate di Napoli in cui si diede lo sfratto esecutivo ai tedeschi, nelle quattro giornate del '43. Non è la prima volta che assistiamo a queste rivolte in nome della salute e della tutela ambientale. Manifestazioni spesso motivate e acuite dalla situazione in cui versa, anzi «sversa», la Campania: i rifiuti tossici, il percolato della monnezza non trattata che raggiunge le falde acquifere contaminando raccolti e animali al pascolo, i liquami mefitici, il rischio di epidemie e l'aumento dell'incidenza dei tumori. Chi scrive ha avuto modo di visitare alcuni di questi siti, come la cava di Terzigno, nel Parco nazionale del Vesuvio, che sorge in un paradiso di ulivi e vitigni da cui si produce il famoso vino «Lacrima Christi», il «sacro antico vino» di cui parla Malaparte ne «La pelle». Come è stato possibile scegliere un luogo del genere per progettare una discarica e farci passare 100 camion al giorno?
Le proteste dei cittadini, dunque, hanno spesso ragione da vendere. Non tutte però. Come ha spiegato un prefetto alla Commissione parlamentare ambientale qualche tempo fa, ci sono state comunità che, a cominciare dai sindaci, hanno nutrito forti ostilità nei confronti del Commissariato rifiuti, per poi permettere nelle medesime aree l'apertura di discariche gestite dalla camorra e da organizzazioni criminali affiliate, senza la minima protesta. Un evidente «chiagni e fotti», come si dice da quelle parti.

In ogni caso, lo Stato di fronte all'emergenza rifiuti non può arretrare. Si sta avvicinando l'estate e il rischio di un'epidemia generalizzata non è poi così lontano. Siamo sotto gli occhi del mondo e il turismo campano e la sua economia hanno già subìto danni ingentissimi. I rischi per la salute pubblica sono altissimi, come ha ammonito l'Unione europea. Non sarebbe giusto nei confronti di chi la raccolta differenziata la fa da anni in tutto il resto del Paese. Certo è giusto trattare sulla salute pubblica dei cittadini, sulla tutela ambientale, caso per caso, e fa bene Bertolaso a cercare un minimo di dialogo con i sindaci ribelli. Ma alla fine le discariche devono essere riaperte, perché fino all'entrata in funzione dei termovalorizzatori e di un sistema integrato del ciclo di smaltimento dei rifiuti, come quelli che esistono in tutte le altre regioni d'Italia, l'unico modo di risolvere l'emergenza rifiuti – che il presidente Napolitano ha definito penosa – è rappresentato dalle discariche.
Invece della ribellione cieca e sorda cui stiamo assistendo, i campani dovrebbero mettere in atto una ribellione più lucida, civile, consapevole ed efficace nei confronti di una certa classe dirigente politica e amministrativa che in molti casi non è stata all'altezza e che li ha portati nell'immondezzaio in cui si trovano dentro, trascinandosi dietro idealmente tutti gli italiani. È con essa che i campani – cui ogni tonnellata di rifiuti smaltita costa 178 euro, a fronte di una media di 152 euro – dovrebbero fare i conti.