
”La malattia dell’Italia si chiama “crescita zero”. Una malattia da cui deve guarire al più presto. Emma Marcegaglia si presenta con queste parole agli italiani, nella prima uscita ufficiale della sua nuova era confindustriale. Emozionata, tesa, ma risoluta, in alcuni tratti sferzante, ha citato mamma Mira e papà Steno, capostipite di una dinastia industriale mantovana dell’acciaio che porta il suo nome. Quella famiglia nel cui ambiente “fin da quando mi posso ricordare, ho respirato impresa”. Un acceno che anche sul piano simbolico rappresenta quel connubio tra grandi imprese e piccole e medie aziende familiari che sono la rete principale dell’Azienda Italia. Con un’elezione plebiscitaria che non s’era mai vista, la “lady d’acciaio” è riuscita a tenere insieme queste due tradizionali “anime” di Confindustria, almeno per ora. Il suo compito principale appare abbastanza definito: se per il suo predecessore Montezemolo era quello di propagandare il più possibile il “made in Italy”, affrontando la crisi di competitività che viene soprattutto da Cina e India, per Emma sarà quello di “sbloccare” il Paese. Per questo elenca i mali che ingabbiano il nostro sistema economico: l’assenteismo, la mancanza di infrastrutture e di ricerca, la spesa statale elevata, la burocrazia nemica dell’impresa, i “cattivi maestri dell’egalitarismo” da cui devono rifuggere gli studenti, la scuola che sta andando in aceto, le difficoltà per le donne (“troppe culle vuote, troppe donne a casa, troppi bimbi poveri”). Plaude alla sconfitta dei partiti esclusi dalle ultime elezioni, come la sinistra radicale. Chiude “una lunga stagione di antagonismo”, pensando a un nuovo modello di relazioni industriali e di contrattazione. Invita al federalismo fiscale e lancia la mano tesa ai sindacati. In prima fila ci sono Silvio Berlusconi, Giulio Tremonti ed altri esponenti del governo visibilmente soddisfatti. Emma parte, almeno all’inizio, capitalizzando il feeling con la nuova compagine politica, parla di uno “scenario irripetibile” dovuto alla maggioranza stabile che dovrebbe dare al Paese “la possibilità di rinascere”, tende la mano ai sindacati, plaude alla detassazione degli straordinari, spiega che ci sono scelte improcrastinabili. Poi passa ad elencare i quattro impegni strategici della sua agenda. Il primo è la sicurezza sul lavoro (“ogni incidente per noi è una sconfitta”) e il suo pensiero va inevitabilmente a Girolamo Di Maio, l’operaio morto in uno degli stabilimenti del suo gruppo. Il secondo è l’impegno per gli investimenti in ricerca e innovazione. Il terzo merita un discorso a parte, perché riguarda i cambiamenti strutturali nel campo dell’energia, legata alla tutela ambientale, alla salubrità alimentare e alle nuove tecnologie. Marcegaglia auspica apertamente il ritorno al nucleare, forse facendosi forte di un nuovo clima dovuto alla sconfitta elettorale degli ambientalisti. Un auspicio cui il ministro Scaloia risponde annunciando di volere mettere la prima pietra del nucleare entro la fine della legislatura. Il suo quarto impegno è forse il più difficile: quello del rispetto delle regole, della lotta della legalità e della battaglia contro le mafie, che proprio la settimana scorsa ha fatto un’altra vitima in Campania. Forse l’impegno più difficile. Luca Cordero di Montezemolo, da principe del marketing, se ne va dall’Auditorium dove si svolgono le assise salendo platealmente su una Cinquecento color rosso Ferrari, mirabile connubio delle due presidenze che ancora gli sono rimaste, quella della Fiat e quella del Cavallino. Ora al timone di Confindustria c’è questa “ragazza terribile” di 43 anni, dura, dolce e, dicono, cocciuta come suo padre.