
Da qualche settimana il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi ha intensificato la sua “moral suasion” sul Governo. A preoccupare il primo inquilino di via Nazionale è il quadro macroeconomico generale che si è abbattuto sull’Occidente, quella “tempesta perfetta” che è frutto del combinato di tassi di interesse (oggi la Bce li alza di un quarto di punto), aumento delle materie prime (a cominciare da grano e petrolio), inflazione e crisi della domanda. L’Italia è come nell’occhio di questo ciclone: al suo interno regna la quiete produttiva, con la crescita economica ai minimi storici. Le famiglie stanno perdendo potere d’acquisto. Come uscirne? La ricetta di Draghi è diversa da quella del ministro dell’Economia Tremonti e del Governo. Vediamo ciò che li unisce e ciò che li divide.
Per Draghi, per uscire dalla crisi, bisogna agire sulle tasse e sui conti pubblici. Il debito andrebbe ridotto per abbassare gli interessi che lo Stato paga su questo colossale stock. Ma è soprattutto la leva fiscale che va allentata, in modo da restituire reddito alle famiglie (oberate dall’inflazione, che è una tassa occulta), rinvigorire la domanda e riavviare il ciclo produttivo. Tremonti finora, anziché abbassare le tasse, ne ha messe delle altre, sia pure a vantaggio delle fasce più deboli, come nel caso della celeberrima “Robin Tax”. Bankitalia e Corte dei conti dicono una cosa diversa: i petrolieri le banche colpiti dalla “Robin Tax” finiscono per rifarsi sui loro clienti, aumentando il prezzo dei loro prodotti petroliferi e finanziari (benzina, gasolio, conti correnti, depositi, operazioni). Insomma: Robin Hood ruba sì ai ricchi, ma – a parte che buona parte del bottino lo trattiene per sé, cioé nelle casse dello Stato – in realtà finisce per danneggiare indirettamente anche i poveri. L’impresa, in caso di aumento delle materie prime, può sempre rifarsi fino a un certo limite sui suoi clienti (e sui suoi dipendenti, limitando ad esempio gli aumenti di stipendio). Sono le famiglie e i pensionati che si ritrovano il cerino in mano. Ecco cosa dice la Corte dei Conti: “è concreto il rischio che il maggior prelievo possa essere traslato sui consumatori attraverso un aumento dei prezzi praticati sui prodotti, o su altri soggetti economici, con un effetto ad esempio sui salari reali dei lavoratori impiegati nei settori colpiti”. Meglio sarebbe levarle le tasse, invece di imporne altre.
Draghi plaude invece alla battaglia del ministro Brunetta per ridare efficienza al pubblico impiego. La ricetta del governatore prevede anche il taglio alla spesa pubblica, poiché “la sfida più importante per risanare i conti e sostenere la crescita dell’economia”. Tremonti risponde che allo stato attuale non è possibile abbassare le tasse perché la crescita è a zero e non esiste il fantomatico “tesoretto” del precedente Governo. Ma promette una redistribuzione di risorse a favore di lavoratori e pensionati attraverso la “social card”. Inoltre ha ricordato che l’erosione dei redditi è dovuta anche alla “speculazione” internazionale, cosa che anche Draghi riconosce. Quanto all’effetto traslazione della Robin Tax, assicura che è pronto a un nuovo inasprimento fiscale su banche, assicurazioni e società petrolifere (ma probabilmente anch’esse a un nuovo rincaro dei loro prodotti). E punta il dito sulla bolla speculativa che per la prima volta, trattandosi di benzina e mutui, è entrata direttamente nelle case delle famiglie e non solo dei broker azionari e dei gestori di fondi. Senza risparmiare una pizzicata a via Nazionale: “Nel 2007 la Banca d’Italia diceva che la crisi finanziaria globale era solo un turbamento finanziario e priva di ogni impatto sull’economia reale”. Insomma, dov’era Bankitalia quando il sasso cominciava a rotolare? Com’è noto Colbert-tremonti non ha mai nutrito timori reverenziali nei confronti di Via Nazionale.