venerdì 4 luglio 2008
PRIMUM TELEFONARE
Gli italiani acquistano sempre meno. Ce lo dice l’Indicatore dei consumi di Confcommercio. Crollano i consumi di pasta e pane, l’acquisto di benzina, biglietti aerei, auto, moto, vestiti, calzature ed elettrodomestici, diminuiscono i viaggi, si fanno meno vacanze. In altre parole, la nostra vita sta cambiando: stiamo tirando la cinghia, lentamente ma inesorabilmente. La crescita zero non è più un’eventualità ma una certezza. Confcommercio ci avverte che si tratta di cambiamenti strutturali. Ci sono due sole voci in controtendenza in questa depressione dei consumi: le comunicazioni, che vuol dire l’acquisto e l’uso dei telefonini, e la cura del corpo. E’ il paradosso della povertà all’italiana: il “primum vivere” dei tempi di “pane amore e fantasia”, quando il cellulare era solo un furgone della polizia penitenziaria, si è evoluto in “primum telefonare” e “primum profumare”.
Il dato non è nuovo. Anche altre ricerche già diffuse e pubblicate sottolineano che l’Italia è il Paese dei trilli: si mangia magari meno di quel che si mangiava, non si va in ferie, si fa a meno persino dello schermo al plasma, della parabola e delle partite in diretta della squadra del cuore, ma non si può fare a meno del telefonino. Un estremo patologico di tutto questo è l’allucinante notizia di giovani adolescenti che rinunciano al loro pudore e alla loro dignità in cambio di una ricarica prepagata. Quanto alla cura del corpo, un’inchiesta citata dallo storico Ginsborg nella sua storia dell’Italia contemporanea, risalente ormai a dieci anni fa, ci diceva che il bagno, con i suoi specchi e le sue vasche idromassaggio, per le famiglie italiane è divenuto uno dei luoghi della casa più frequentati, dove si trascorre più tempo della giornata. Altro che la cucina, l’antico focolare familiare, un tempo centro nevralgico della casa.
Anche i nuovi poveri possono rinunciare al pane, ma non a una chiamata. Dacci oggi i nostri minuti quotidiani di conversazione. E questo è un fenomeno del tutto peculiare, che richiederebbe un approfondimento e una riflessione. Pare che per l’italiano medio il cellulare sia un’esigenza vitale, come il pane, l’acqua, il respiro, il pace-maker. Forse nel Dna italico l’appartenenza a una rete, che sia dei propri cari, dei propri amici, di una tribù con cui sentirsi costantemente in contatto, è un’esigenza irrinunciabile, qualcosa senza la quale la vita non vale la pena di essere vissuta. Il tutto spruzzato da due gocce di dopobarba o di profumo, da quella propensione alla vanità testimoniata dalla “tenuta” dei prodotti della cura del corpo.
E’ davvero straordinario che due voci che apparterrebbero (ma solo in teoria) al superfluo resistano a quelle privazioni cui ci spinge un progressivo scivolamento verso l’indigenza. Profumi e cellulari tengono duro non solo rispetto alle privazioni di secondo livello come auto, tv, microonde, lavastoviglie, una bella giacca, un paio di scarpe nuove, ma addirittura alle “privazioni di base”, come le chiamano gli economisti: la possibilità di riscaldare la casa in modo adeguato, il pane, la pasta da mettere sulla tavola tutti i giorni. Davvero sconfortante. O forse no, forse è solo la spia di un popolo che all’amicizia, all’amore, alla voglia di comunicare, di mantenere quel filo invisibile con i propri affetti, non rinuncia. Forse un giorno l’Italia sarà popolata da capanne e caverne, ma si sentirà nell’aria un gradevolissimo profumo di vaniglia o chanel. E soprattutto, saremo tutti reperibili sul telefonino.