domenica 17 agosto 2008
Il '29 di Tremonti
Curiosamente, da frangenti diversi, Eugenio Scalfari su Repubblica e Francesco Giavazzi sul Corriere paragonavano nei rispettivi editoriali di ieri la politica economica del ministro Tremonti a quella di Herbet Hoover, il presidente americano che dovette affrontare il crollo di Wall Street del 1929 e che volendo ostinatamente raggiungere il pareggio di bilancio creò le premesse della “Grande Depressione,” poi superata dal sucessore Franklin Delano Roosvelt e dal suo New Deal.
Gli avvenimenti storici hanno sempre una forza drammatica che aiuta a organizzare il ricordo e la compresnione degli uomini. Ecco perché quel “venerdì nero” del 25 ottobre 1929, con il suo crollo della borsa americana, è considerato un paradigma di quella “Great Depression” che creò milioni di disoccupati in tutto l’Occidente e in Germania indebolì la Repubblica di Weimer creando le premesse del nazismo. Ma stiamo sempre parlando di suggestioni storiche. E le suggestioni storiche hanno una grande forza evocativa ma – è il caso di dirlo – lasciano pur sempre il tempo che trovano. La crisi finanziaria e le politiche deflazionistiche dei governi occidentali degli anni Trenta (non solo di quello americano) è solo una delle concause di quella gigantesca recessione economica, cui si devono aggiungere altri fattori, come la sovrapproduzione agricola e industriale, l’assenza di spinte innovative, la crescita della popolazione attiva che premeva sul mercato del lavoro, i mancati adattamenti dell’economia tra le due guerre, un’industria ormai “matura” e le conseguenze dell’inflazione, soprattutto in Germania, tra cui una paura terribile che si tornasse a pagare un litro di latte con una cesta piena di miliardi di marchi.
Tuttavia il paradigma tiene per esemplificare le politiche economiche messe in atto dai governi dell’Occidente per fronteggiare quella gigantesca crisi, tutte uguali, tutte deflazionistiche, tendenti cioé a risanare i bilanci e a tener lontana l’inflazione. La politica della “sound money”, della moneta forte, che creò schiere di disoccupati. A cominciare da quella del cancelliere tedesco Bruning, il “cancelliere della fame”, che cadde “a 100 metri dalla meta” per lasciare il passo a una serie di governi autoritari che fecero poi da anticamera al nazismo. Con una certa “faciloneria retrospettiva” come ha detto lo storcio Borchard, si è detto che quei governi, da Hoover a Bruning, avrebbero dovuto attuare una politica anticiclica, di rianimazione del’economia mediante l’espansione della spesa pubblica e attraverso maggiori investimenti statali e indebitamento pubblico. E’ il modello del più grande economista di tutti i tempi, John Maynard Keynes. Peccato che la sua Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta venne pubblicata solo nel’36, quando ormai il mondo era precipitato nel gorgo nazista che di lì a poco avrebbe scatenato la Seconda Guerra Mondiale. Inoltre oggi le banche centrali hanno imparato molto da quelle vicende col senno del poi e i meccanismi monetari messi in atto hanno impedito all’Occidente ripetute volte, praticamente ad ogni congiuntura, di scivolare nel baratro.
Serve dunque quel monito storico al nostro ministro dell’Economia Giulio Tremonti, che peraltro ama molto le metafore storiche e non molto tempo fa, ad esempio, paragonò l’Europa di oggi all’Europa affamata tra le due Guerre che scivolò nell’autoritarismo? A nostro parere può servire come suggestione per dire che il pareggio di bilancio in questo momento non è la priorità (ma lo si potrebbe dire non solo a Tremonti, ma anche alla Commissione europea e lo si sarebbe potuto dire anche al precedente governo) e che servirebbe piuttosto una politica di riduzione fiscale per liberare la crescita e innescare il ciclo virtuoso consumi-produzione-occupzione. Senza catastrofismi però, perché l’Europa di oggi, grazie a Dio è un’Europa di grandi e solide democrazie e alcuni economisti già individuano la luce in fondo al tunnel di una crisi che ha cause completamente diverse.
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