sabato 20 settembre 2008

I TREDICI GIORNI CHE SCONVOLSERO IL MONDO


Vale la pena di rileggerli, come un film, a mercati finanziari chiusi e ancora ebbri per l’impennata dei listini, questi tredici giorni che hanno sconvolto Wall Street e il mondo intero, per capire come sta cambiando un’epoca. Anche se per la verità la scintilla risale allo scoppio della bolla legata ai mutui “subprime”, quei prestiti concessi in America a clienti ad alto rischio di insolvenza, senza garanzie, poi trasformati in titoli sostanzialmente insolventi che hanno contaminato i bilanci di mezzo mondo. Al centro della crisi odierna infatti vi è questa immensa quantità di “bond” emessi per finanziare prestiti immobiliari che nessuno poteva onorare. Finchè qualcuno non ha cominciato a chiedere il “payback” il risarcimento.

Fannie Mae e Fannie Mac. Il film più recente della crisi, la sua fase acuta, se vogliamo, comincia il sette settembre del 2008, quando il Tesoro Usa annuncia di aver salvato i colossi dei mutui Fannie Mae e Freddie Mac, ricapitalizzandoli con 200 miliardi di euro. In pratica lo Stato americano prende in braccio i due istituti, e con essi, virtualmente, cinque milioni di famiglie americane ritenute tecnicamente fallite. Ma l’operazione non basta a frenare l’emorragia. E così si arriva al quindici ottobre, quando cade un altro degli dei della finanza mondiale. La gloriosa banca di investimenti Lehman Brothers viene lasciata fallire: un crack da 613 miliardi di dollari. Non è chiaro perché il Tesoro abbia abbandonato Lehman e abbia salvato prima e dopo altri colossi in crisi. C’è chi critica la decisione, non solo per le migliaia di disoccupati, ma anche perché la caduta del gigante bancario fondato nel 1800 mette a repentaglio tutto il sistema.

La Fed come un eroe della Marvel. Intanto la crisi si estende. Per salvare la baracca le banche centrali (anche la Bce) pompano risorse fresche e garantiscono crediti e coperture per scongiurare il più possibile i default delle banche. In Europa la crisi è decisamente meno grave, grazie a una mentalità finanziaria diversa e a un sistema molto più solido. Negli Usa invece ben Bernanke, il governatore della Federal Reserve, la banca centrale americana, deve affontare il più grave terremoto dai tempi del del ’29. Proprio lui che è considerato uno dei massimi studiosi del crollo di Wall Street. E in effetti farà tesoro della lezione del passato. Allora i governi applicarono politiche restrittive, causando milioni di disoccupati. Oggi invece la metamorfosi della Federal Reserve con il suo “furore” espansivo, è impressionante. La banca centrale americana si è trasformata, come un super-eroe della Marvel. Da tempio del liberismo diventa la cattedrale dell’intervento statale, una sorta di holding finanziaria generosa di interventi pubblici (Lehman a parte). Lo Stato, tramite il Tesoro e la Fed, acquista di tutto: asset, banche, aziende in difficoltà , per girarle ad altre banche o ad altre aziende. Come un’idrovora compra titoli spazzatura e offre prestiti colossali per non far fallire altre banche.Il diciotto settembre il Tesoro prende in braccio l’American International Group. Il colosso assicurativo viene nazionalizzato e salvato in extremis con 85 miliardi di dollari.

I titoli di Stato come ai tempi di Hitler. Per capire la situazione è utili dare un’occhiata ai tassi interbancari (attraverso i quali le banche si prestano soldi l’un l’altra) e quelli dei titoli di Stato. Nel primo comparto sono ai massimi storici. Le banche non si fidano l’una dell’altra e quando lo fanno chiedono tassi di interessi altissimi per compensare il rischio. L’altra faccia della medaglia sono i T-bills, titoli di Stato Usa, considerati acquisti rifugio, ai minimi storici per l’aumento della domanda. Li vogliono tutti. Quelli trimestrali rendono appena lo 0,02%. Il precedente è del 1940, ma allora c’erano gli investitori terrorizzati da Hitler che devastava l’Europa. Ormai la gente non si fida più di nulla: polizze, azioni, obbligazioni. Ci si accontenta di mettere i soldi sotto il materasso.

La versione di Barney. Lo Stato diventa sempre più una grande madre pronta a scongiurare il fallimento di molti istituti. Si muove la Casa Bianca. Si muove il Tesoro. Si muovono anche i rappresentanti democratici e repubblicani di Capitol Hill. Il deputato Barney Frank, presidente della Commissione servizi finanziari della Camera, propone di dar vita a un nuovo ente federale, una specie di Iri, che rilevi le società crollate sotto i colpi della crisi.

Il nuovo piano Marshall. Alla fine, al termine di frenetiche consultazioni, mentre i listini dei borsa di tutto il mondo precipitano, il presidente Bush e il titolare del Tesoro Henry Paulson annunciano venerdì 19 settembre un piano per ripulire il sangue finanziario del pianeta, con la costituzione di un fondo in cui far confluire gli asset non liquidi dai bilanci delle banche. Una sorta di gigantesca “bad company” che raccoglie i titoli “tossici”, per la quale il Tesoro è disposta a versare coi soldi dei contribuenti mille miliardi di dollari, una cifra “monstre”, dieci volte quella del Piano Marshall del Dopoguerra. Dopo giorni e giorni di cadute a picco le borse ringraziano con recuperi record.

Bye Bye liberismo. Il coccodrillo America ora tira il fiato e piange su un sistema di capitalismo drogato, attento solo a bilanci patinati , pieni di cifre con ricavi immediati, finalizzati a far salire temporaneamente i corsi azionari (con i manager che ne lucrano stock options e altri bonus). E’ la fine dell’epoca liberista, a vantaggio di una nuova era statalista e interventista di deficit-spending. Bye bye mister Friedman, bentornato lord Keynes.