Barack Obama ha la forza dell'ottimismo di un Roosvelt e il carisma di un Kennedy. Dice che la sua
politica economica è il pragmatismo, ovvero “trovare quello che funziona”. Per questa missione ha
accanto a sé personaggi come Paul Volcker, ex governatore della Federal Reserve, Robert Rubin,
l'ex segretario del Tesoro di Clinton. Non potrà permettersi di assomigliare al suo predecessore
democratico alla Casa Bianca per la lontananza da quel contesto storico, quello dei ruggenti anni
'90, quando l'economia aveva solo bisogno di essere stimolata. E in fondo nemmeno a Jfk, chiamato
aguidare l'America che emergeva dalla guerra e dalla depressione. Oggi Obama deve ridare rigore a
un'economia mondiale in recessione, più somigliante a quella degli anni Trenta (per fortuna molto
lontanamente) che a quella degli anni '90. Come ha ricordato lui stesso nella sua prima conferenza
stampa da presidente, gli Stati Uniti hanno dieci milioni di disoccupati: un record. Altre decine di
milioni se la passano male, afflitti da rate del mutuo e stipendi che non bastano.
Obama vuole restituire “dignità, sicurezza e potere alla classe media”. E' questo il cardine del suo
programma. Quella classe media che è scivolata nelle sue frange più estreme nella povertà, pur
continuando a lavorare (il fenomeno dei cosiddetti working poors). E che quando precipita nella
disoccupazione non riesce a sopravvivere con il salario di sussistenza. I primi provvedimenti, ha
promesso, saranno quelli di ridurre le tasse per il 95 per cento della popolazione, aumentare i sussidi
di disoccupazione, gli aiuti alla spesa alimentare e di assicurare la sanità per tutti i bambini e per le
frange più povere. Quest'ultima riforma è resa quanto mai urgente dal fatto che la popolazione sta
invecchiando e le compagnie private che garantiscono a pagamento la copertura assicurativa stanno
rivedendo le loro tariffe all'insù (anche per la crisi finanziaria che ha devastato i mercati).
Il piano di stanziamento di 700 miliardi dell'attuale amministrazione Bush sarà portato avanti e
comprenderà stimoli soprattutto nel settore dell'auto, uno dei pilastri della Corporate America che
rischia di crollare. Il nuovo presidente degli Stati Uniti è chiamato a risolvere anche il grumo di
contraddizioni economiche insite nello Stato più ricco del mondo. “Abbiamo le case più grandi e gli
schermi televisivi più piatti del mondo”, ha scritto Fareed Zakaria sul Newsweek, “ma non siamo
capaci di affrontare una serie di altre cruciali questioni come un'assistenza sanitaria possibile per
tutti, una buona educazione per i poveri e una politica energetica efficiente”.
Obama è portatore di una nuova, complessa, innovativa sintesi tra Stato e mercato che va oltre le
dottrine di Keynes e il liberismo di Friedman. Con lui anche l'economia cambia pelle. Come ha
scritto l'Economist, potrebbe scivolare nel protezionismo oppure regolare finanza e mercati al punto
di innovare il Paese e arrivare a un'immensa redistribuzione della ricchezza. Con la sua “terza via”
probabilmente cercherà di arginare il libertarismo dei mercati con leggi più restrittive e di
intensificare gli interventi di deficit spending. Il neopresidente ha proposto la creazione di una
Banca nazionale per le infrastrutture, che dovrebbe finanziare opere pubbliche su tutto il territorio
(dai ponti, alle dighe, dai sistemi di irrigazione alle strade e alle autostrade, fino ai sistemi di
energia altrenativa che hanno fatto parlare di Green New Deal, New Deal verde). Ma è davvero una
sfida conciliare l'impressionante mole di interventi pubblici promessi con lo sgravio delle tasse.
Obama deve decidere su chi gravare con la pressione fiscale, “chi scontentare” come dice
l'Economist. Non ci sono benefici per tutti. Allo stato attuale delle promesse, nel mirino sembra
essere quel cinque per cento della popolazione che ha redditi da nabbabbo, ma che ha un potere
enorme sui mercati e fino a ieri sulla politica attraverso potentissime associazioni di lobbyng che
non se ne staranno certo con le mani in mano. Sarà una epocale sfida, appunto, quella di Obama, ma
l'America lo ha scelto per questo dimstrando la sua straordinaria capacità di sorprendere il mondo e
di ridare al suo popolo fiducia, che come è noto è la quintessenza dell'economia.
Francesco Anfossi