sabato 6 dicembre 2008
IL CORAGGIO TRALE RIGHE
A Giugliano, immenso Comune della Campania con radici agricole, la terza città più popolosa della regione dopo Napoli e Salerno, tra bravi e cattivi ragazzi il confine era molto labile. I camorristi erano seduti ai tavolini al centro della piazza principale. «L’esistenza della camorra qui la percepiamo fin da bambini», dice Raffaele Cantone, il giudice divenuto nemico giurato nella lotta ai clan dei casalesi, nel salotto della sua casa. «La camorra diventa uno stimolo a conoscere e a contrapporsi. A 16 anni tu già ti rendevi conto di chi avrebbe potuto scegliere certe strade e chi no. Grandi moto, auto scure e potenti, vita al di sopra delle possibilità. Questo è il brodo di coltura ideale per chi vuole fare un certo tipo di vita. Ma la mia appartenenza a questa terra, la provenienza da un ambiente comune a quello dei camorristi, mi ha dato la capacità empatica di conoscere certe mentalità. Molti miei colleghi hanno un senso di aristocratico ribrezzo che non gli permette di vedere fino in fondo certi fenomeni. Come quel microsistema criminale che è ben descritto nel film Gomorra».
Nonostante tutto, questo giovane magistrato che è stato per otto anni in prima linea alla Direzione distrettuale antimafia di Napoli, Giugliano non l’ha mai abbandonata, anche nei momenti più difficili: le minacce, la condanna a morte decretata dai clan, il tritacarne della calunnia. La sua esperienza alla Dda l’ha raccontata in un libro autobiografico, Solo per giustizia (Mondadori). Dove il termine "solo" ha il doppio significato della solitudine in cui spesso è avvolto un magistrato, costretto a vivere sotto scorta da anni.
Per Cantone «la camorra è un’espressione geografica, perché tra i clan di Napoli e i casalesi non c’è niente in comune. A Napoli c’è una camorra che non ha niente di mafioso: è una violenza fine a sé stessa, nessuna capacità di intrecciare rapporti con le imprese».
Nella zona di Nola, Giugliano e Casal di Principe, invece, i clan hanno assunto dimensioni nazionali, con ramificazioni imprenditoriali e finanziarie in Spagna, in Inghilterra, perfino in Cina. «Lì il camorrista svolge funzioni di intermediario sociale, come la mafia». Parliamo dei casalesi, che il romanzo di Saviano ha portato all’attenzione internazionale. «Mi colpì il boss Pasquale Zagaria, firmato dalla testa ai piedi. Nello stesso periodo in cui interloquiva con noi stava nel deposito a provare armi. In casa gli avevano trovato un guardaroba da favola. La tracotanza di Francesco Schiavone, conosciuto universalmente come Sandokan, mi ha sempre impressionato, mentre Francesco Bidognetti, Cicciotto ’e mezzanotte, voleva dare impressione di tranquillità».
In tanti anni a indagare su di loro ne ha penetrato a fondo anche la psicologia. «È gente che ha il potere di vita e di morte e capacità di incutere e ricevere rispetto. Che avrebbero fatto Schiavone e Bidognetti fuori dal loro clan? Per persone che hanno un livello culturale inesistente, questa vita infame gli fa ottenere posizioni che mai avrebbero avuto con una vita onesta. Ma è un discorso che vale per pochi. Tutti gli altri, dai caporali ai colonnelli, conducono un’esistenza grama, indegna di essere vissuta, sono carne da macello, agnelli sacrificati alla pace dei boss. Fanno anni di carcere, eseguono omicidi, vengono mandati a morire, uccidono per mille euro al mese. Niente di intelligente. "Ma io", mi diceva uno di loro, "lo facevo per il rispetto, che per strada conta. Quando entravo in un bar la gente mi offriva il caffè e mi chiamava don Michele"».
Ma per il magistrato bisogna tener conto anche della borghesia camorristica, del terzo livello che ruota intorno alla camorra militare, quella dei manovali, degli spacciatori e dei killer. «È la borghesia camorristica la vera beneficiata. Il boss si sacrifica come un patriarca per far vivere bene il suo entourage. Ma non ci sono solo le famiglie. C’è tutta la zona grigia, quella che fa affari, che fa attività di consulenza, che ricicla il denaro sporco, che utilizza la forza dei clan per recuperare i crediti. Quella che al momento opportuno può venire coinvolta. I latitanti quasi mai si nascondono dai camorristi. Li troviamo sempre in case di stimati professionisti».
Anche oggi che ha cambiato incarico, Raffaele Cantone non ha lasciato la terra dove è nato. «Ho scelto di rimanerci perché malgrado tutti i dispetti questa è la mia terra. Se se ne vanno tutti, non ci sarà spazio per un riscatto».