giovedì 29 gennaio 2009

DAVOS, COME USCIRE DALLA CRISI


L’idea è quella della “bad bank”, una specie di gigantesca discarica finanziaria planetaria dove riversare tutti i titoli tossici della Terra. I titoli tossici sono tutti quei “bond”, tutti quei “derivati” e altri marchingegni di borsa che le banche e le società si sono passati come un cerino acceso. Carta straccia, crediti inesigibili di gente che non poteva pagare, come i clienti dei mutui “subprime”, passati di mano in mano. Forse qualcuno si illudeva che alla fine potessero essere impacchettati e spediti nello spazio. Oppure che l’umanità se ne andasse a svernare nell’universo a bordo di una navicella mentre qualche robot finanziario, come nel cartoon “Wall-e” si dava da fare a ripulire il tutto per un paio di secoli. E invece hanno semplicemente appesantito i bilanci delle banche e delle multinazionali. Fino a far affondare le varie imbarcazioni. Il risultato lo abbiamo sotto gli occhi: giganti che crollano, valanghe di disoccupati, Stati e banche centrali che distribuiscono liquidità a profusione con i soldi dei cittadini. Le borse che hanno perso il 50 per cento dei valori di listino, i Paesi avanzati in recessione, quelli emergenti in frenata, il Terzo e Quarto Mondo in preda alla disperazione e alle sommosse popolari “del pane”. Ecco dunque l’idea di una società in cui riversare le tossine, anche per parametrare il prezzo di questa “monnezza finanziaria” e farla saldare dagli Stati, una sorta di enorme falò acceso nel nome del Capitalismo buono, non più “drogato” dall’azzardo dei capitalisti ebbri di “hedge” e “future”. E da lì ripartire per rifinanziare l’economia reale: le imprese, i servizi, il commercio, le economie sommerse e quelle emergenti.

Lo hanno detto in tanti, compreso il finanziere-guru George Soros, a Davos, il paesino dei Grigioni svizzeri dove sorgeva il sanatorio della Montagna Incantata di Thomas Mann, e dove i potenti della Terra (41 capi di Stato, 1400 top manager e banchieri) si interrogano su come uscire dalla crisi e preconizzare il dopo crisi. Un parterre con molte assenze che si fanno notare, ma, si sa, il 2008 è stato l’annuss horribilis e molti hanno tolto il disturbo o sono stati dimissionati, oppure hanno poca voglia di salire tra le cime innevate. Prima domanda: quando finirà? Forse tra un anno, forse tra due, ma molti giurano che se ne parlerà dopo il 2012. Seconda domanda: come uscirne? Nessuno ha una ricetta, ma la strada è quella già intrapresa, le montagne di denaro spesi a scapito del debito pubblico per salvare economia finanziaria e reale, le banche e le imprese. Anche se non basterà, perchè intanto va riformato un “sistema sbagliato”, come dice il Nobel Joseph Stiglitz. Bisogna riscrivere le regoli globali della finanza. Il primo problema è che le banche hanno ricevuto il denaro ma non lo reinvestono, non lo prestano, se lo tengono nei caveau perché temono perdite ingenti e guai peggiori. Una paralisi nefasta per le imprese. La fiducia è ai minimi, come testimonia il tradizionale sondaggio che apre il forum di Davos. Chissà se entro la fine del 39esimo summit economico tra le alpi Svizzere qualcuno proporrà un mercato più aperto, meno legato alla finanza, deciso a far entrare non solo le élites economiche ma anche i soggetti poveri del mercato, quell’80 per cento di poveri che vive di stenti e che rimane ai margini. Chissà che qualcuno dei potenti, a Davos, mai come quest’anno città sanatorio dell’economia, non esprima la consapevolezza che questa crisi forse è una lezione per aprire il mercato anche a chi ne è rimasto per troppo tempo fuori.