venerdì 13 febbraio 2009
LA GUERRA VISTA DA FRANCO DI MARE
E’ la guerra. Quante volte l’abbiamo detto? L’abbiamo vista correre sotto lo sguardo infastidito del mondo tante volte nei telegiornali. Ma per capirne fino in fondo le sue conseguenze, per provarne il suo male abissale occorrono vita vissuta, occhi, sguardo, cervello, dolore e lucidità. E’ quello che ha provato Franco Di Mare, giornalista Rai inviato in tutti i punti caldi del Pianeta dal ’90 ad oggi: Sarajevo, Goma, Gaza, Mogadiscio, il Kosovo, Kabul, Baghdad. Tutte le guerre postmoderne successive alla caduta del muro, le guerre “calde” succedute alla guerra fredda, “dove la distinzione tra zone di conflitto militare, tra campo di marte, e aree civili, non esiste più”. Ma raccontare, testimoniare tutto questo è difficile, perché spesso “il male si nasconde dietro le immagini, non saprei spiegare perché, ma è così”. Il paradosso è che per descriverne l’orrore non ci sono immagini che tengano: serve la parola. Quella che fa dire a un cecchino di bambini che in fondo ammazzare un minore è un modo per colpire un’intera comunità abbassandone il morale, come se si trattasse di un videogioco. Che fa spiegare a un assassino bestiale che sgozzare una persona non e poi così difficile. Che descrive il vuoto negli occhi di un carnefice. O ancora racconta cosa sia un bambino soldato di otto anni in preda agli spasmi della malaria, più impaurito delle sue vittime. La banalità del male declinata in molteplici espressioni, in molteplici luoghi. E’ la situazione dell’inviato di guerra, non braccio, ma “occhio di Dio”, “spettatore sgomento dell’opera del demonio”, come scriveva il grande reporter polacco Kapuscinski.
Per penetrare negli abissi dell’animo serve una scrittura essenziale, lucida, tagliente, ben articolata nei suoi meccanismi narrativi. “Il cecchino e la bambina” (Rizzoli editore) è tutto questo: un libro pacifista nel senso più autentico della parola. “Anche se non sono un pacifista senza se e senza ma”, spiega l’autore, “io sono con Giovanni Paolo II che di fronte agli orrori in Bosnia grida: addeso basta. Ma, certo, ho imparato coi miei occhi che dove c’è un’arma c’è c’è sempre un’arma che sparerà”. Di Mare è oggi un conduttore Tv di fama e successo ma si porta sotto pelle il male raccolto in tanti anni di corrispondenze. Credo che quei fantasmi lo perseguitassero anche nella stagione felice di “Unomattina” e che fossero la base di quel fondo di malinconia pensosa dentro la sua signorilità napoletana che chi lo conosce da vicino non può non notare. Il garbato, colto, fascinoso conduttore nascondeva ricordi e incubi che non poteva, non voleva tenere per sé. “Mi sento come il protagonista di Napoli milionaria, che tornato dalla guerra non trovava nessuno disposto ad ascoltarne il racconto degli orrori, e allora compra un gelato ai bambini perché almeno i bambini lo ascoltino, affinché quel mostro non possa più tornare”. Ma il Leviatano torna, a volte in maniera periodica, secondo un modello di storia circolare, come a Goma, dove si raccolgono con la benna i cadaveri esattamente come qualche anno fa. Ogni storia, ben orchestrata (compresa la suspance e l’ironia per sopportare ciò che altrimenti sarebbe insopportabile) è preceduta da una sorta di introduzione analitica, come un canone a due voci. “Le cose che ho scritto le griderei nei citofoni e infatti appena posso vado a mie spese ovunque, a cominciare dalle scuole, per spiegare che la guerra è un’avventura senza ritorno, che il male, la bestia è dentro di noi”. Ma questa raccolta di storie vere è anche un’analisi lucida di come nasce una guerra. Di Mare, da vecchio cronista televisivo, ormai lo percepisce come un contadino avverte il rumore dell’onda di piena di un fiume. “I governi o i regimi cominciano ad alzare il livello, poi entrano in campo i mass media, sale la tensione, si modifica tutto, cominci a descrivere l’avversario come il nemico da eliminare, da uccidere, e a poco a poco entri nella spirale, il gioco è fatto”. Da questo libro si esce con la consapevolezza che la vita è un bene prezioso che va conservato, preservato, coltivato, che non siamo di questa terra, che in un mondo globalizzato gli altri siamo noi e prima o poi, se non li risolviamo, i suoi problemi ci raggiungeranno dentro casa. Non ci sono altre uscite, non si può rimanere indifferenti.
Etichette:
Baghdad,
Franco Di Mare,
Gaza,
Goma,
Guerra,
Kabul,
Kosovo,
Mogadiscio,
Pace,
Rizzoli Sarajevo