“Fin dall’inizio ho capito e approvato le ragioni per spostare la sede del G8 dalla Maddalena all’Aquila”, spiega Sergio Romano, un passato di ambasciatore e un presente di storico, studioso ed esperto di relazioni internazionali. “Le ragioni di questa scelta appartengono non tanto alla politica in senso stretto quanto alla politica della comunicazione. Quella dell’Aquila mi pare una mossa utile per dare lustro al Paese, ma anche per mettere l’Aquila al centro dell’attenzione mondiale. Una scelta comprensibile e condivisibile. Che comporta anche dei rischi lo sappiamo. Ma i governi devono pure prendere dei rischi. Mi auguro che vada bene. E’ il mio Paese. Per di più se va bene, l’attenzione internazionale verrà concentrata su avvenimenti diversi da quelli che riguardano Berlusconi, su cui si è concentrata nelle scorse settimane. Questo è uno di quei casi che se va bene a lui va bene anche noi, non è possibile fare distinzioni tra gli interessi di Berlusconi e quelli dell’Italia”.
- Quali sono i rischi?
“Il primo è quello naturale, legata alle nuove scosse di terremoto, Dio non voglia”.
E il secondo?
Il rischio gaffe?
Gaffe?
“Beh sì, la goliardia, l’umorismo, le famose battute, le chiami come vuole. Abbiamo visto che Berlusconi nei vertici internazionali cede alla tentazione di dire spontaneamente cose che non dovrebbe dire. Lui è così”.
L’Italia come è vista all’estero in questo momento?
“In questo momento quasi tutta la stampa europea è molto critica, qualche volta ironicamente, qualche volta acidamente, qualche volta politicamente. Non c’è niente da fare. Sono pochi i giornali europei che giocano una partita diversa. In altre parole noi siamo, per così dire, il bersaglio di turno”.
Consolante...
“La stampa europea ha sempre avuto un bersaglio. C’è stato Haider, Le Pen, insomma un uomo politio che in quel particolare momento è vulnerabile. Clinton all’epoca dello scandalo Lewinski. L’Economist lo esortò a dimettersi. C’è stato un momento l’Europa detestava la Thatcher, naturalmente per motivi diversi da quelli per cui detesta Berlusconi. Non è che queste cose capitino soltanto a noi”.
Però in questo momento tocca a noi...
“Purtroppo sì, anche con qualche buona ragione. La propensione del primo ministro a recitare questa parte un po’ c’è. Anche se l’Italia è un Paese relativamente importante e tra i Governi ci sono problemi da discutere, interessi importanti da definire: quello naturalmenmte è un altro discorso”.
Che ne pensa dell’idea del ministro Tremonti di introdurre un legal global standard internazionale che sancisca la supremazia del diritto sull’economia?.
“Ho appena letto un libro di Cassese su questi argomenti. Parla di questa lenta graduale costruzione di un diritto internazionale dovuto in gran parte alla proliferazione di nuovi tribunali non più nazionali ma transnazionali, dalle corti alle forme di arbitrato internazionale . In altre parole, c’è una forma di nuovo diritto internazionale che si sta creando grazie alla collaborazione tra vari enti, tra cui le Consulte e che potrebbe arrivare a una forma di arbitraggio sulle regole economiche. Da tutto questo è immune la Corte Suprema americana per la sua tradizionale tendenza all’isolazionismo giuridico e giurisprudenziale”.
Si dice che il G8 conti poco sul piano delle scelte e del potere di reale cambiamento. E’ che il vero G8 sia il G20...
“Effettivamente il G8 è in gran parte un’istituzione superata dal tempo, è stato ampiamente scavalcato dall’apparizione sulla scena mondiale di una pluralità di nuovi e potenti soggetti. Non rispecchia più la realtà d’oggi, già si è posto il problema di includere la Cina, ma se si include la Cina non si può fare a meno dell’India, e allora se c’è l’India bisogna trovare spazio per il Brasile e via dicendo. Nel momento in cui avremmo potuto porci il problema dell’aggiornamento del G9 il G8 è stato scavalcato dalla pluralità delle potenze emergenti.
Si parla del Bric, acronimo di Brasile, Russia, India e Cina...
“Anche. La crisi economica finanziaria ha accelerato questo processo. Il vero problema è proprio questo. La crisi economico-finanziaria non si discute senza la presenza del Brasile, della Cina, senza il Sudafrica, senza l’India”.
E a questo punto bisogna pensare ad altro.
“E infatti ci sono già state due riunioni del G20, che è l’organismo più adatto ad affrontare quel problema”.
Questo significa che prima o poi i governi rinunceranno al G8. ”Non credo proprio. Difficile immaginare che i membri di quel circolo ristretto vogliano rinunciare al piacere di riunirsi e di farsi fare una bella fotografia comune che sanziona il loro status di Paesi appartenenti al principale club internazionale. Siamo un po’ nel campo degli enti inutili”.
Inutili?
“Non del tutto, per carità, ma anche quando si vorrebbero eliminare c’è una resistenza che in qualche modo riesce a ritardare l’azione. Andremo avanti ancora per parecchio tempo con un G8, un G20 e vari assi bilaterali come quello che si è creato dopo la crisi economico-finanziaria tra Stati Uniti e Cina”.
Eppure sul tavolo del G8 c’è un tema che non è certo di poco conto, quello della povertà, con un miliardi di persone che in conseguenza della crisi rischiano di scivolare nel denutrimento e nella morte per fame. Al G8 di Gleneagles, quattro anni fa, si erano promessi 50 miliardi di dollari per i Paesi poveri, ma nessuno ha mai staccato quell’assegno.
“Il tema della povertà è un tema obbligato. Se si fa una riunione di alto livello non lo si può ignorare. Non si può chiudere un vertice del genere senza fare promesse e suscitare attese. Non si può essere in grande della Terra e voltare le spalle alla povertà africana e quindi lo si mette all’ordine del giorno”.
Con risultati finora tragicamente deludenti.
“Questo infatti non vuol dire che lo si risolva. Lo si discute, ma in realtà la soluzione del problema africana è ostacolata da due fattori concorrenti. In primo luogo serve un forte aiuto finanziario che si deve concretare con denaro e anche naturalmente con la soppressione dei debiti di questi Paesi, che tanto sono inesigibili, ma che pesano per il servizio del debito e gli interessi passivi. Dall’altro lato occorrono regimi politici in grado di utilizzare al meglio quel denaro. Queste due condizioni o non esistono o non sono presenti in misura soddisfacente. Inoltre la crisi ha portato a una disponibilità molto limitata. Purtroppo non c’è Paese anche prospero che non abbia problemi di bilancio, a cominciare dagli Stati Uniti, che ha investito piano di quasi mille miliardi di dollari per tamponare i vari defaults”.
Anche l’Italia ha tagliato i fondi della cooperazione.
“Anche noi abbiamo limitato gli aiuti. Non c’è niente da fare, con la crisi è così. Naturalmente ci sono Paesi legati da un rapporto stretto con certe aree africane che provvedono a finanziare. E’ il caso della Francia, che mantiene un elevato standard di sussidi. Ma la Francia che ha trasformato il suo vecchio impero coloniale in stati satelliti e paga in funzione di un suo preciso obiettivo politico. Non è un programma di risanamento dell’Africa. D’altro canto quanti sono i regimi africani in grado di mettere a frutto gli aiuti e fare buon uso del denaro dato dai Paesi abbienti?”
Al G8 di questo non si parla.
“Quando si organizza il G8 questo non lo si può dire esplicitamente. Nessun uomo di Stato può manifestare un pubblico scetticismo per il grado di maturità politica dell’Africa. In realtà quello è il problema. E’ difficile che il denaro produca gli effetti desiderati se non cade in mani che lo usino al meglio. L’Africa, a parte qualche eccezione, è ancora per molti aspetti un continente politicamente non in grado di fare buon uso di un finanziamento”.
Perché non “esportare” la democrazia in questi Stati, mettendo fine a regimi dittatoriali e corrotti, magari con un mandato internazionale?
“Quello che lei dice è in realtà l’espressione moderna di una forma di neocolonialismo. Se lei assume l’obbligo, come missione, dell’esportazione della democrazia lei presuppone una certa ingerenza negli affari di quei Paesi.. Cos’è questa se non una forma nuova di colonialismo? In realtà il problema della maturità politica di questi Paesi è un problema cui noi possiamo dare un’assistenza tutt’al più indiretta. Le nostre università formano medici, professionisti ingegneri, classe dirigente, personale politico e amministrativo. C’è da sperare che questo produca a termine il risultato desiderato di una classe dirigente che riesca a organizzar nei propri Paesi regimi politicamente più adatti per fare buon uso degli aiuti e non sperperarli in armi, palazzi faraonici, cattedrali nel deserto e vita di corte. Ma tenga presente che il giorno in cui questi paesi fossero organizzati in tal senso il denaro arriverebbe da solo. Molti di essi sono Paesi ricchi potenzialmente. Soprattutto di risorse naturali. Il giorno in cui fossero organizzati in modo da offrire determinate garanzie non avremo nemmeno bisogno di mettere in bilancio aiuti finanziaria. Perché a quel punto comincerebbero a produrre e a svilupparsi da soli”.
- Quali sono i rischi?
“Il primo è quello naturale, legata alle nuove scosse di terremoto, Dio non voglia”.
E il secondo?
Il rischio gaffe?
Gaffe?
“Beh sì, la goliardia, l’umorismo, le famose battute, le chiami come vuole. Abbiamo visto che Berlusconi nei vertici internazionali cede alla tentazione di dire spontaneamente cose che non dovrebbe dire. Lui è così”.
L’Italia come è vista all’estero in questo momento?
“In questo momento quasi tutta la stampa europea è molto critica, qualche volta ironicamente, qualche volta acidamente, qualche volta politicamente. Non c’è niente da fare. Sono pochi i giornali europei che giocano una partita diversa. In altre parole noi siamo, per così dire, il bersaglio di turno”.
Consolante...
“La stampa europea ha sempre avuto un bersaglio. C’è stato Haider, Le Pen, insomma un uomo politio che in quel particolare momento è vulnerabile. Clinton all’epoca dello scandalo Lewinski. L’Economist lo esortò a dimettersi. C’è stato un momento l’Europa detestava la Thatcher, naturalmente per motivi diversi da quelli per cui detesta Berlusconi. Non è che queste cose capitino soltanto a noi”.
Però in questo momento tocca a noi...
“Purtroppo sì, anche con qualche buona ragione. La propensione del primo ministro a recitare questa parte un po’ c’è. Anche se l’Italia è un Paese relativamente importante e tra i Governi ci sono problemi da discutere, interessi importanti da definire: quello naturalmenmte è un altro discorso”.
Che ne pensa dell’idea del ministro Tremonti di introdurre un legal global standard internazionale che sancisca la supremazia del diritto sull’economia?.
“Ho appena letto un libro di Cassese su questi argomenti. Parla di questa lenta graduale costruzione di un diritto internazionale dovuto in gran parte alla proliferazione di nuovi tribunali non più nazionali ma transnazionali, dalle corti alle forme di arbitrato internazionale . In altre parole, c’è una forma di nuovo diritto internazionale che si sta creando grazie alla collaborazione tra vari enti, tra cui le Consulte e che potrebbe arrivare a una forma di arbitraggio sulle regole economiche. Da tutto questo è immune la Corte Suprema americana per la sua tradizionale tendenza all’isolazionismo giuridico e giurisprudenziale”.
Si dice che il G8 conti poco sul piano delle scelte e del potere di reale cambiamento. E’ che il vero G8 sia il G20...
“Effettivamente il G8 è in gran parte un’istituzione superata dal tempo, è stato ampiamente scavalcato dall’apparizione sulla scena mondiale di una pluralità di nuovi e potenti soggetti. Non rispecchia più la realtà d’oggi, già si è posto il problema di includere la Cina, ma se si include la Cina non si può fare a meno dell’India, e allora se c’è l’India bisogna trovare spazio per il Brasile e via dicendo. Nel momento in cui avremmo potuto porci il problema dell’aggiornamento del G9 il G8 è stato scavalcato dalla pluralità delle potenze emergenti.
Si parla del Bric, acronimo di Brasile, Russia, India e Cina...
“Anche. La crisi economica finanziaria ha accelerato questo processo. Il vero problema è proprio questo. La crisi economico-finanziaria non si discute senza la presenza del Brasile, della Cina, senza il Sudafrica, senza l’India”.
E a questo punto bisogna pensare ad altro.
“E infatti ci sono già state due riunioni del G20, che è l’organismo più adatto ad affrontare quel problema”.
Questo significa che prima o poi i governi rinunceranno al G8. ”Non credo proprio. Difficile immaginare che i membri di quel circolo ristretto vogliano rinunciare al piacere di riunirsi e di farsi fare una bella fotografia comune che sanziona il loro status di Paesi appartenenti al principale club internazionale. Siamo un po’ nel campo degli enti inutili”.
Inutili?
“Non del tutto, per carità, ma anche quando si vorrebbero eliminare c’è una resistenza che in qualche modo riesce a ritardare l’azione. Andremo avanti ancora per parecchio tempo con un G8, un G20 e vari assi bilaterali come quello che si è creato dopo la crisi economico-finanziaria tra Stati Uniti e Cina”.
Eppure sul tavolo del G8 c’è un tema che non è certo di poco conto, quello della povertà, con un miliardi di persone che in conseguenza della crisi rischiano di scivolare nel denutrimento e nella morte per fame. Al G8 di Gleneagles, quattro anni fa, si erano promessi 50 miliardi di dollari per i Paesi poveri, ma nessuno ha mai staccato quell’assegno.
“Il tema della povertà è un tema obbligato. Se si fa una riunione di alto livello non lo si può ignorare. Non si può chiudere un vertice del genere senza fare promesse e suscitare attese. Non si può essere in grande della Terra e voltare le spalle alla povertà africana e quindi lo si mette all’ordine del giorno”.
Con risultati finora tragicamente deludenti.
“Questo infatti non vuol dire che lo si risolva. Lo si discute, ma in realtà la soluzione del problema africana è ostacolata da due fattori concorrenti. In primo luogo serve un forte aiuto finanziario che si deve concretare con denaro e anche naturalmente con la soppressione dei debiti di questi Paesi, che tanto sono inesigibili, ma che pesano per il servizio del debito e gli interessi passivi. Dall’altro lato occorrono regimi politici in grado di utilizzare al meglio quel denaro. Queste due condizioni o non esistono o non sono presenti in misura soddisfacente. Inoltre la crisi ha portato a una disponibilità molto limitata. Purtroppo non c’è Paese anche prospero che non abbia problemi di bilancio, a cominciare dagli Stati Uniti, che ha investito piano di quasi mille miliardi di dollari per tamponare i vari defaults”.
Anche l’Italia ha tagliato i fondi della cooperazione.
“Anche noi abbiamo limitato gli aiuti. Non c’è niente da fare, con la crisi è così. Naturalmente ci sono Paesi legati da un rapporto stretto con certe aree africane che provvedono a finanziare. E’ il caso della Francia, che mantiene un elevato standard di sussidi. Ma la Francia che ha trasformato il suo vecchio impero coloniale in stati satelliti e paga in funzione di un suo preciso obiettivo politico. Non è un programma di risanamento dell’Africa. D’altro canto quanti sono i regimi africani in grado di mettere a frutto gli aiuti e fare buon uso del denaro dato dai Paesi abbienti?”
Al G8 di questo non si parla.
“Quando si organizza il G8 questo non lo si può dire esplicitamente. Nessun uomo di Stato può manifestare un pubblico scetticismo per il grado di maturità politica dell’Africa. In realtà quello è il problema. E’ difficile che il denaro produca gli effetti desiderati se non cade in mani che lo usino al meglio. L’Africa, a parte qualche eccezione, è ancora per molti aspetti un continente politicamente non in grado di fare buon uso di un finanziamento”.
Perché non “esportare” la democrazia in questi Stati, mettendo fine a regimi dittatoriali e corrotti, magari con un mandato internazionale?
“Quello che lei dice è in realtà l’espressione moderna di una forma di neocolonialismo. Se lei assume l’obbligo, come missione, dell’esportazione della democrazia lei presuppone una certa ingerenza negli affari di quei Paesi.. Cos’è questa se non una forma nuova di colonialismo? In realtà il problema della maturità politica di questi Paesi è un problema cui noi possiamo dare un’assistenza tutt’al più indiretta. Le nostre università formano medici, professionisti ingegneri, classe dirigente, personale politico e amministrativo. C’è da sperare che questo produca a termine il risultato desiderato di una classe dirigente che riesca a organizzar nei propri Paesi regimi politicamente più adatti per fare buon uso degli aiuti e non sperperarli in armi, palazzi faraonici, cattedrali nel deserto e vita di corte. Ma tenga presente che il giorno in cui questi paesi fossero organizzati in tal senso il denaro arriverebbe da solo. Molti di essi sono Paesi ricchi potenzialmente. Soprattutto di risorse naturali. Il giorno in cui fossero organizzati in modo da offrire determinate garanzie non avremo nemmeno bisogno di mettere in bilancio aiuti finanziaria. Perché a quel punto comincerebbero a produrre e a svilupparsi da soli”.